Vocazioni si vocazioni no - i Cavalieri della Carità

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Vocazioni si vocazioni no

INSEGNAMENTI SULLA RETE

                                 VOCAZIONE SI, VOCAZIONE NO

Dio mi chiama a seguirlo; dovrei lasciare la mia famiglia e se invece mi sposo non è anche questa una vocazione?
Perderei la mia libertà! Non è meglio obbedire a Dio piutosto che obbedire agli uomini ai quali che vogliamo o non dobbiamo obbedire.
Il mondo attuale del lavoro, quando poi c'è, non rispetta l'uomo ma lo shiavizza. Il servire Dio invece rispetta in tutto non solo la natura dell'uomo e la sua personalità ma lì permette di dare il meglio di se stesso.

Il giovane ricco chiamato dal Signore a seguirlo (Cfr .Mt 19, 20, Mc 10, 20,  Lc 18, 21) non rappresenta solamente i giovani ricchi materialmente, cioè pieni di soldi, ma tutti i giovani pieni di talenti, svegli, amanti della vita e della libertà. Le vere richezze, non sono quelle materiali, ma quelle morali, interiori, spirituali e non è così facile di decidere di non usarle per se ma di metterle al servizio del Signore e del prossimo.

Quanti giovani, in un determinato momento della loro vita, non sono corsi incontro al Signore e gettandosi in ginocchio davanti a lui nello loro preghiere hanno detto: "osservo tutte queste cose, che mi manca ancora"  e cioè, che vuol che io faccia della mia vita?
Ebbene dopo avere fatto questa preghiera come uno può dopo dire che non ha la vocazione, che il Signore non lo chiama. Chi non è chiamato, chi non ha la vocazione non si pone mai la domanda, non va mai a chiedere al Buon Dio cosa deve fare per indirizzare la sua vita in modo diverso dalla maggioranza, più impegnata, per non dire più perfetta.

La vocazione è una chiamata da parte di Dio, Egli sceglie, cioè parte da Lui. ma poi Dio lascia al giovane la libertà di rispondere o non. Ecco perché poi succede che un bel giorno alcuni di questi chiamati, non tutti, corrono incontro al Signore e da quel mommento il Signore li ama ancora di più, in un modo particolare: "allora Gesù, fissatolo, lo amò". Eppure anche dopo avere manifestato ai chiamati il suo amore di predilezione Egli lì lascia liberi de seguirlo, di rispondere o non alla sua chiamata.
Quindi possiamo dire che ci sono come due fasi ben distinti riguardo alla vocazione.
La prima, che porta il giovane a vivere una vita cristiana di un certo spessore.
La seconda, lo porta un bel giorno a mettersi ai piedi del Signore per chiedergli cosa deve fare in concreto della sua vita.
Cosa decido di fare?
Ritirarmi triste perché non mi voglio spogliare dei miei beni, di me stesso, perché voglio godermi questi miei beni datemi da Dio? La tritezza nascosta nel fondo dell'anima è la carattersitica comune a tutte le vocazioni mancate, non corrisposte.
Dire un sì generoso a Dio per mettere tutto me steso al suo seguito per il bene dell'umanità? Quel sì mi porterà da subito una serenità interiore come mai provata prima e piano anche una gioia costante non legata a questo o quest'altra cosa o situazione.


CHI HA ANCORA DEI DUBBI SULLA PROPRIA VOCAZIONE PUO LEGGERE NEL SILENZIO DELLA PROPRIA STANZA O, MEGLIO ANCORA, DAVANTI AL SANTISSIMO SACRAMENTO I TESTI CHE METTIAMO A DISPOSIZIONE. I PRIMI, SCRITTI A POSTA PER ESSERE MEDITATI DAVANTI AL SANTISSIMO SACRAMENTO, GLI ALTRI, DI UNA INTERVISTA FATTA A RADIO MARIA.

LA VOCAZIONE

Nella presente Ora Santa ed in quelle che seguiranno, ripercorreremo le varie tappe della storia della vocazione di ognuno di noi; lo faremo alla presenza di Nostro Signore Gesù Cristo, che è realmente presente nell'Ostia sacrosanta qui esposta. Questa sera considereremo la nostra vocazione sotto il profilo di atto  di predestinazione di Dio nei nostri riguardi.
La nostra personale vocazione trova la sua origine non in noi stessi, ma in Dio. Essa corrisponde ad una iniziativa di Dio nei nostri riguardi: "Non voi avete scelto me - ci dice il Signore - ma io ho scelto voi" (Gv. 15,16). Questa iniziativa divina si vede chiaramente nella vocazione dell'Apostolo San Matteo, che egli stesso ha raccontato nel suo Vangelo: "Allontanandosi di là, Gesù vide seduto al banco delle imposte un uomo chiamato Matteo e gli disse: 'Seguimi'. Egli si alzò e lo seguì"  (Mt. 9,9). E' Gesù Cristo che per primo chiama, e l'uomo in seguito risponde.
Questa iniziativa divina corrisponde ad una elezione di Dio nei nostri riguardi. Infatti per Dio l'atto di chiamare una determinata persona equivale ad una elezione, e cioè ad una scelta con cui Dio privilegia tale persona (cfr. Rom 9,11).
Se analizziamo più in profondità il fatto di questa elezione di cui siamo stati oggetto, scopriamo che essa è un atto di predestinazione di Dio su di noi. Quando ripensiamo alla nostra vita passata, constatiamo che la chiamata divina della vocazione si è fatta sentire ad un determinato momento della nostra esistenza. Ma per Dio, che è al di sopra del tempo, anzi che vive nella eternità, non è così; se per noi la nostra vocazione fu una novità che irruppe nella nostra vita, per Dio  invece essa era una cosa già ben nota. Nella Sacra Scrittura troviamo descritte parecchie vocazioni, ed osserviamo che queste furono prestabilite da Dio prima che le persone prescelte esistessero. Per esempio, Dio disse al profeta Geremia: "Prima che tu fossi formato nelle viscere materne, io ti conoscevo; prima che tu uscissi dal seno materno, ti ho consacrato e destinato profeta delle nazioni" (Ger 1,5).
Lo stesso avviene, anche se i particolari sono diversi, per qualsiasi altra vocazione. Da tutta l'eternità Dio ha stabilito per ognuno di noi una determinata vocazione, che poi è diventata chiamata esplicita ad un preciso momento della nostra vita. Perciò San Paolo, descrivendo  il modo di operare di Dio, scrisse nella sua lettera ai Romani: "Quelli che Dio da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati… Quelli poi che ha predestinati li ha anche chiamati"       (Rom 8,29-30).
Quindi se la nostra personale vocazione si è manifestata a noi in un dato momento della nostra esistenza, per Dio invece essa si radica nell'eternità, è un atto di predestinazione di Dio verso di noi prima ancora della creazione dell'universo, come afferma appunto S. Paolo: "Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo… ci ha scelti prima della creazione del mondo… predestinandoci ad essere suoi figli adottivi" (Ef 1,3-5).


La nostra vocazione non è l'unico elemento preso in considerazione da Dio nel suo decreto di predestinazione. Da tutta l'eternità, Egli, nella sua mente infinita, ha visto e concepito ognuno di noi come una persona unica e irrepetibile, come un capolavoro unico in tutta la creazione. Ora, affinché ciascuno di noi fosse una persona unica, Dio ha predisposto di darci delle doti, delle qualità, delle caratteristiche peculiari. Insomma, Dio ha predisposto di dare ad ognuno di noi un certo numero di <talenti>, come ce lo insegna Nostro Signore Gesù Cristo nella nota parabola evangelica (cfr. Mt 25,14-30). Questi <talenti> sono già di ordine naturale come, per esempio, delle attitudini, sia di ordine soprannaturale come, ad esempio, delle grazie particolari; l'insieme di questi doni di ordine naturale e di ordine soprannaturale costituiscono i tratti specifici di ognuno di noi, ossia la nostra personalità.
Ma il punto fondamentale è proprio questo: Dio non ha scelto a caso, e cioè in un modo irragionevole, le doti che ci avrebbero contraddistinto, no. Egli, essendo la sapienza infinita, ha operato questa scelta in un modo eminentemente saggio. Infatti Dio ha predeterminato per ognuno di noi delle doti particolari che si sarebbero armonizzate con le vocazione che Egli ha stabilito per ciascuno di noi. In altre parole: è in vista della nostra vocazione che Dio ha scelto per ognuno di noi gli elementi che costituiscono la nostra personalità sia a livello umano, sia a livello spirituale.
Una significativa conferma di questa verità la troviamo nell'azione svolta da Dio nei riguardi di Maria SS.ma. Sin dall'eternità Dio l'aveva prescelta per essere la Madre del suo Figlio Unigenito; questa era la vocazione di Lei. Ora, Dio non si limitò solo a darle questa missione, ma la preparò anche a questa sua vocazione; perciò Dio concesse a Maria il privilegio dell'immacolata concezione affinché Essa fosse una dimora santa e degna del Figlio di Dio. Quindi l'immacolata concezione, è un tratto che caratterizza la persona di Maria, le è stato dato da Dio in vista della sua vocazione alla maternità divina.
Le caratteristiche peculiari che ci contraddistinguono, Dio ce le ha date, allorché ha creato direttamente dal nulla la nostra anima spirituale ed immortale, la quale ha fatto di ognuno di noi una singola persona. Così, ripensando al dono della vita ed a tutti gli altri doni naturali che abbiamo ricevuto da Dio, anche noi, come il Salmista, possiamo dire a Dio: "Signore, sei Tu che hai creato le mie viscere e mi hai tessuto nel seno di mia madre. Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio" (Sal 138). Inoltre, riflettendo su tutti i doni soprannaturali con i quali siamo stati gratificati da Dio, anche noi, come l'Apostolo S. Paolo, possiamo esclamare: "Per grazia di Dio sono quello che sono" (I Cor. 15,10).
In conclusione: noi siamo soliti pensare che prima Dio ci ha creati e poi Egli ci ha dato la vocazione. Ma la verità è esattamente il contrario, e cioè: prima Dio ha scelto una vocazione per noi e poi, ad un certo momento dell'eternità, Egli ci ha creati come persone in vista della nostra vocazione.



Dalle precedenti riflessioni scaturiscono importanti conseguenze per la nostra vita.
In primo luogo, siccome la nostra vocazione personale trova la sua origine in un decreto di predestinazione di Dio, essa non è una cosa di poco conto; al contrario, essa riveste un'importanza fondamentale, primordiale agli occhi di Dio, e così la nostra vocazione dovrebbe essere considerata anche da ognuno di noi. In altre parole, la nostra vocazione non è una bigiotteria facilmente interscambiabile con altra merce di poco valore, no; essa è come quella perla preziosa e di grande valore, di cui parla il Signore nella parabola evangelica, e per l'acquisto della quale dobbiamo vendere tutto quanto abbiamo, e cioè dobbiamo essere disposti a qualsiasi sacrificio, rinuncia e distacco, pur di corrispondere perfettamente alla elezione divina. Ecco perché la vocazione di ognuno di noi va presa con estrema serietà e grande senso di responsabilità.
In secondo luogo, corrispondere alla propria vocazione significa realizzare lo scopo specifico per cui Dio ci ha creati; significa incarnare quella idea particolare che Dio ha avuto di noi da tutta l'eternità; significa seguire la via che Dio ha tracciato dinanzi a noi. Così la nostra vita si sviluppa quotidianamente in modo conforme al disegno che Dio ha su di noi.
Infine, in terzo luogo, nella nostra vocazione si riflettono le due caratteristiche che contraddistinguono ogni atto di predestinazione di Dio. Infatti, da una parte, Dio ci fa conoscere il disegno che Egli ha su di noi, attraverso gli avvenimenti della nostra vita, i consigli di una guida spirituale esperta e prudente, le grazie di illuminazione interiore, ecc. e cosi la nostra vocazione ci diventa nota. Ma, d'altra parte, le stesso decreto di predestinazione di Dio rimane, per altri versi, un mistero per noi; cioè ogni vocazione è un dono così grande che solo gradualmente nel tempo possiamo scoprire tutte le ricchezze spirituali, tutte le implicazioni, tutti gli impegni inerenti alla nostra vocazione personale. Perciò essa deve diventare oggetto della nostra continua meditazione per approfondire sempre più i suoi vari aspetti. In ciò dobbiamo imitare l'esempio della Beata Vergine Maria; dopo aver appreso all'annuncio dell'angelo, che la sua vocazione consisteva nell'essere la Madre del figlio di Dio fattosi uomo, essa <serbava nel suo cuore> tutti gli avvenimenti che si riferivano a questa sua vocazione e meditava costantemente su di loro. (cfr. Lc 2,19).
La nostra vocazione si radica nell'eternità di Dio, ma neanche l'eternità ci basterà per manifestare in modo adeguato la nostra gratitudine a Dio. Infatti anche nell'eternità il nostro ringraziamento sarà sempre limitato, mentre la vocazione, che è espressione dell'amore di Dio, è e sarà sempre un dono di un valore incommensurabile come è infinito l'amore di Dio verso di noi.

                                 LA VOCAZIONE
         
Dall'Ostia consacrata, dove Egli è realmente presente, il Signore continua ogni giorno a chiamarci alla sua sequela, e questo suo continuo invito è la sorgente divina della nostra vocazione.
Nella precedente Ora Santa, abbiamo considerato la nostra vocazione in rapporto alla mente infinita di Dio, e così essa ci è apparsa come un atto di predestinazione. Questa sera, vedremo la nostra vocazione in rapporto al Cuore di Dio, e così constateremo che essa è un dono gratuito dell'amore di Dio.
La nostra vocazione è fondamentalmente la manifestazione di un amore del tutto particolare di Dio nei nostri riguardi. E' significativo lo sguardo d'amore che Gesù Cristo rivolse al giovane ricco quando lo chiamò; l'Evangelista  S. Marco descrive così l'episodio: "Allora Gesù, fissatolo, lo amò, e gli disse: 'Ti manca una sola cosa: va', vendi ciò che hai… poi vieni e seguimi'" (Mc 10,21). Gesù lo amò, e perché lo amò, lo chiamò ad una vocazione particolare, a seguirlo.
Allo stesso modo, Dio, da tutta l'eternità, ha posato il suo sguardo d'amore su ognuno di noi ed è proprio per questo motivo, e cioè il suo amore, che Egli ha assegnato ad ognuno di noi una determinata vocazione. Come scrive l'Apostolo S. Giovanni: "In questo consiste l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi" (I Gv 4,10). Sì, Dio ci ha amati per primo, e la vocazione che Egli ci ha dato e la manifestazione concreta e tangibile del suo amore per noi.
In ciascuno di noi è affiorato qualche volta questo interrogativo: perché Dio ci ha prescelto per tale vocazione, mentre Egli avrebbe potuto scegliere altre persone che erano migliori di noi, che avevano maggiori doti e virtù e quindi che erano più meritevoli di noi? A questo interrogativo c'è una sola spiegazione: il mistero dell'infinita libertà dell'amore di Dio.
E questo amore di Dio verso di noi si rivela come un amore di predilezione. La predilezione sta a significare che Dio ha amato ognuno di noi più degli altri uomini, ossia che Egli ha avuto una preferenza per noi. Perciò l'amore di predilezione di Dio nei nostri riguardi ha fatto di noi dei privilegiati. Quando Gesù Cristo ci dice: "Non voi avete scelto me, ma io ha scelto voi" (Gv 15,16), Egli intende farci capire che alla radice della nostra vocazione c'è il suo amore di predilezione, per cui Egli ci ha preferito a tante altre persone.

                                          

La nostra vocazione è un dono gratuito dell'amore di beneplacito di Dio.
La predilezione, la preferenza che Dio ha avuto nei nostri riguardi non è dovuta alle nostre qualità personali né alle nostre buone azioni; infatti Dio ha prestabilito la nostra vocazione prima ancora che noi esistessimo, e quindi prima che avessimo delle doti particolari e prima che potessimo fare qualcosa per meritarla. Anzi, Dio ci ha chiamati, nonostante che Egli avesse previsto da tutta l'eternità, e quindi in anticipo, i nostri demeriti.
L'Evangelista S. Marco, narrando la scelta dei dodici apostoli, scrive: "(Gesù) chiamo a sé quelli che Egli volle" (Mc 3,13). Eppure il Signore sapeva benissimo che Giuda lo avrebbe tradito, che Simon Pietro lo avrebbe rinnegato, che gli Apostoli lo avrebbero abbandonato nell'ora suprema della Passione. Ma, malgrado tutto ciò, Egli li chiamò. Lo stesso ragionamento vale anche per noi; Dio ci ha dato la vocazione senza merito nostro, anzi nonostante la nostra radicale indegnità.
Quando prendiamo maggiormente coscienza del fatto che siamo immeritevoli del dono della vocazione, allo stesso tempo scopriamo che l'amore di Dio, che è all'origine di tale dono, è un amore beneplacito. L'amore di beneplacito significa che Dio vuole un determinato bene per noi solo perché così piace a Lui. Insomma, l'amore di beneplacito è quell'amore con cui Dio ci ama senza essere condizionato da nessun impegno Suo nei nostri confronti e senza sentirsi obbligato verso di noi da un eventuale merito nostro. S. Paolo parla spesso, nelle sue lettere, dell'amore di beneplacito di Dio; riguardo alla vocazione cristiana, egli scrive: "Dio Padre ci ha scelti…secondo il beneplacito della sua volontà" (Ef 1,4-6); "Dio ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo proposito" (2 Tim 1,9; Rom 9,11).
La nostra personale vocazione è un segno palpabile di questo amore di beneplacito di Dio verso ognuno di noi; Egli ci ha dato la vocazione solo perché così è piaciuto a Lui. Parlando di coloro che si consacrano a Dio nello stato di castità perfetta, Gesù Cristo disse: "Non tutti possono capire (questa parola), ma solo coloro ai quali è stato concesso (da Dio)" (Mt 19,11), ossia Dio ha concesso la comprensione della castità perfetta solo a coloro ai quali Gli è piaciuto di dare tale dono.
Lo sguardo di Dio che, con un amore di beneplacito, si posa su di noi, ecco la storia della vocazione di ognuno di noi. Perciò anche a noi si possono applicare queste parole che Dio disse mediante il profeta Geremia: "Ti ho amato di amore eterno, per questo ti ho attratto a me" (Ger 31,3).




Quando consideriamo l'amore di predilezione e di beneplacito che Dio ha nei nostri riguardi, avendoci dato la vocazione, noi sentiamo vivamente la nostra radicale povertà spirituale dinanzi a Lui.
Nello scegliere le persone che Egli vuole attirare a Sé, Dio agisce, il più delle volte, secondo una sapienza che capovolge i criteri umani. Ciò che           S. Paolo scrisse riguardo ai primi cristiani, chiamati da Dio a far parte della Chiesa, si applica anche a noi, religiosi: "Considerate tra voi, o fratelli, quelli che Dio ha chiamati: non molti sono i sapienti secondo la carne, non molti i potenti, non molti i nobili. Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto…ciò che è debole… ciò che è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla…perché nessuna creatura possa vantarsi dinanzi a Dio" (I Cor 1,26-29).
Tutto ciò non vuol dire che, per avere la vocazione, bisogna non possedere nessuna qualità o virtù; al contrario, è Dio stesso che ci dà delle doti e la sua grazia affinché possiamo rispondere alla nostra vocazione. Ma quando consideriamo l'amore di predilezione e di beneplacito di Dio nei nostri riguardi, prendiamo pienamente coscienza della nostra miseria spirituale dinanzi ad un privilegio così grande e gratuito come è la vocazione.
La Beata suor Elisabetta della Trinità, la giovane Carmelitana francese, nota per la sua dottrina sulla inabitazione trinitaria, parlando della sua vocazione di Carmelitana, disse: "Mi pare un sogno quando considero che una creatura tanto disprezzabile, tanto miserabile come me, abbiate riservato, o Gesù, una vocazione così bella, così sublime. E' un mistero insondabile del vostro amore che mi abbiate dato la più bella fra tutte le vocazioni".
Anche noi non possiamo fare altro che sprofondare nell'umiltà, nella nostra pochezza quando consideriamo lo sconvolgente mistero della scelta amorosa di Dio, che è caduta proprio su di noi! In noi non c'è nulla che meriti il dono della vocazione, perché siamo solo delle creature povere, deboli e misere!
Perciò sentiamo vivamente il bisogno di unirci alla Beata Vergine Maria - Lei che è stata la più prediletta da Dio tra tutte le creature e allo stesso tempo la più  consapevole del proprio nulla - ed assieme a Lei, dal profondo della nostra povertà spirituale, innalzare a Dio un inno di ringraziamento per il dono gratuito ed immeritato della vocazione: "L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva…Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente" (Lc 1,46-49).

                                           

Alla presenza di nostro Signore Gesù Cristo, ci soffermeremo, durante questa Ora Santa, sui vari legami che esistono tra la sua Persona e la nostra vocazione.
Anzitutto è Lui, il Signore, che, con la sua passione e morte in croce, ha meritato per ognuno di noi il dono inestimabile della vocazione religiosa.
Il libro della Genesi ci racconta che, dopo il peccato originale, le porte del paradiso furono chiuse all'umanità (cfr. Gen 3,23-24); ciò significava che nessun dono soprannaturale sarebbe disceso dal Cielo sul genere umano. Gesù Cristo, invece, soffrendo i tormenti della sua passione e morendo crocifisso sul Calvario, ci ha riaperto le porte del cielo. Ciò vuol dire che tutte le grazie - di qualsiasi natura - che da Dio discendono sugli uomini, sono state prima meritate da Gesù Cristo. Non riceviamo nulla da Dio che non sia stato acquisito a prezzo del Sangue del Redentore (cfr. I Pie 1,19).
I doni soprannaturali che hanno maggiore valore, sono stati pagati a prezzo più caro dal Salvatore. Ora la grazia della vocazione religiosa è, senz'altro, uno dei doni più grandi di Dio; Sant'Alfonso Maria de' Liguori disse al riguardo: la vocazione religiosa è, dopo il battesimo, il dono più grande che Dio fa' ad un'anima che Egli vuole per Sé (cfr. La Monaca Santa, cap. I, 1). Perciò è facile intuire come questo eccelso dono sia stato pagato da Gesù Cristo con i dolori più forti della sua passione, con gli strazi più grandi del suo Sacratissimo Cuore. E mentre così pativa, il Signore, che, con la sua mente divina conosce tutto: passato, presente e futuro, pensava in particolare a ciascuno di noi ed a tutti coloro per i quali Egli stava acquistando la grazia della vocazione religiosa.
Noi non abbiamo meritato la nostra vocazione. E' Lui, Gesù Cristo, che l'ha meritata per noi. E siccome la salvezza, che scaturisce dal Calvario, è un dono gratuito di Dio in Cristo, allo stesso modo anche la vocazione, che rientra nell'ambito della salvezza, è un dono gratuito dell'amore di Dio.
Inoltre, le rinunce, i distacchi, i sacrifici che abbiamo dovuto compiere per rispondere alla chiamata divina, non sono paragonabili all'immolazione cruenta con la quale Cristo ci ha meritato la vocazione religiosa. La vocazione di ognuno di noi è tinta dal Sangue Preziosissimo del Redentore, costa tanto quanto questo Sangue divino, il quale ha un valore infinito. Se il Figlio di Dio si è persino immolato per ottenerci, tra l'altro, il dono della vocazione, ciò evidenzia quanto questo dono sia prezioso, anzi inestimabile.

                                        

Il secondo legame che esiste tra nostro Signore Gesù Cristo e la nostra vocazione, consiste nel fatto che è Lui che ci ha chiamati.
Qualsiasi azione che Dio compie al di fuori di Se stesso ed in rapporto alle sue creature, è sempre una azione di Dio in quanto tale, e cioè della SS.ma Trinità tutta intera. Questa verità si applica anche all'atto divino di scegliere una determinata persona e di chiamarla alla vita religiosa. Quindi, la nostra vocazione trova la sua origine in una scelta amorosa, compiuta nei nostri riguardi, da tutte e Tre le Persone della SS.ma Trinità.
Tuttavia, siccome il Figlio di Dio fattosi Uomo scelse i dodici Apostoli e i settantadue discepoli, perciò la chiamata alla vita religiosa viene riferita ed attribuita in modo particolare alla Seconda Persona della Trinità. Quindi, è stato nostro Signore Gesù Cristo - ossia Colui che con le sue sofferenze ci ha meritato la vocazione - è stato Lui che si è avvicinato a noi e ci ha detto nel profondo del nostro cuore: "Vieni, e seguimi" (Mc 10,21).
Le circostanze, in cui abbiamo sentito per la prima volta questo dolce invito del Signore, variano per ciascuno di noi. A seconda della nostra storia personale, abbiamo percepito la chiamata divina della vocazione, o sotto la mozione di una grazia interiore mentre pregavamo, o nelle parole del nostro confessore o direttore spirituale, o nell'esempio datoci da una persona già consacrata a Dio, o a seguito della lettura di un libro che ci ha particolarmente colpito, ecc. La grande diversità di queste circostanze in cui abbiamo preso coscienza della nostra vocazione, dimostra l'infinita libertà del Signore, che ci chiama quando e come Egli vuole.
Vi è, tuttavia, un tratto comune, che unisce tutte queste nostre esperienze personali, così diverse le une dalle altre. Infatti, nel momento in cui Gesù Cristo ci ha chiamato a seguirlo sulla via dei consigli evangelici, abbiamo sentito fortemente la vicinanza del Signore, anzi la sua intimità; abbiamo sperimentato l'intensità, il calore del suo amore per noi,  abbiamo percepito che Egli ci amava tanto che non potevamo rifiutarGli tutto il nostro amore. Insomma, anche noi potevamo ripetere le parole che i due discepoli di Emmaus dissero dopo aver incontrato il Signore: "Non ci ardeva il cuore nel petto mentre Egli conversava con noi lungo il cammino? (Lc 24,32).
Quei primi momenti della nostra vocazione, allorché il Signore bussava alla porta del nostro cuore, li dobbiamo sempre ricordare, perché mantengono in noi il fervore iniziale e lo slancio della nostra vocazione.
                                            

Con il dono della nostra vocazione, Gesù Cristo ci ha associati, in modo più stretto ed impegnativo, alla sua missione salvifica.
Il Signore è l'unico Redentore e Salvatore. Tuttavia, per applicare agli uomini la salvezza che Egli ci ha ottenuto sulla croce, Egli ha voluto che noi collaborassimo con Lui. Ed è proprio a tal fine, che Gesù Cristo ha dato a ciascuno di noi una determinata vocazione, in virtù della quale Egli ci ha costituito suoi cooperatori nella salvezza dei fratelli. Come S. Paolo, anche ognuno di noi può dire di essere: "Servo di Cristo Gesù, e apostolo per vocazione, prescelto per annunziare il Vangelo di Dio" (Rom 1,1).
Infatti, secondo il carisma specifico della Famiglia religiosa alla quale apparteniamo, siamo chiamati dal Signore a continuare una attività particolare che Egli svolse durante la sua vita terrena. E così ogni religioso è chiamato a configurarsi a Gesù Cristo, o mentre Egli, il Signore, curava gli infermi, o benediceva i fanciulli, o convertiva i peccatori, o annunziava il Regno di Dio, o pregava solo sul monte, ecc. Quindi, mediante il dono della vocazione, Gesù Cristo ci ha dato l'incarico di prolungare nel tempo un determinato aspetto della sua missione terrena, e così Egli ci ha chiesto di collaborare con Lui per ricondurre gli uomini a Dio.
Infine Gesù Cristo è il modello perfetto che dobbiamo imitare per rispondere in modo adeguato alla nostra vocazione. Anche per tale motivo Egli ci ha detto: "Vi ho dato l'esempio, perché, come ho fatto io, facciate anche voi"           (Gv 13,15).
Durante la sua vita terrena, Egli visse obbedendo costantemente alla volontà di Dio suo Padre e pregando nel silenzio della solitudine. Inoltre Egli adempì perfettamente la missione che Dio Padre Gli aveva affidato, e perciò, durante l'ultima cena, Egli poté dire: "Padre, io ti ho glorificato sopra la terra, compiendo l'opera che mi hai dato da fare" (Gv 17,4).
Allo stesso modo, la vocazione di ognuno di noi ci ha costituiti in una particolare comunione con Dio e ci ha assegnato un apostolato specifico della Chiesa. Sull'esempio di Gesù Cristo, anche noi dobbiamo realizzare perfettamente la nostra vocazione, vivendo una vita d'intimità con Dio mediante la preghiera, ed adempiendo fedelmente l'apostolato che è proprio della nostra Famiglia religiosa.
A conclusione di questa Ora Santa, esprimiamo la nostra viva gratitudine a Gesù Cristo, qui presente, a Lui che con le sue sofferenze ci ha meritato la vocazione, a Lui che ha chiamato personalmente ognuno di noi, a Lui che ci ha associati alla sua missione redentrice, a Lui che ci ha insegnato con il suo esempio a rispondere perfettamente alla propria vocazione.



                               LA VOCAZIONE   

                                      

Durante l'ultima Cena del Giovedì Santo, nostro Signore Gesù Cristo, rivolgendosi a Dio suo Padre, nella preghiera Sacerdotale, disse: "Come tu sei in me, o Padre, ed io in te, che anch'essi siano una cosa sola in noi" (Gv 17,21). Queste parole del Signore ci invitano a soffermarci nella presente ora Santa sulla dimensione comunitaria della nostra vocazione religiosa.
La nostra vocazione è un dono personale di Dio, perché Egli l'ha data a ciascuno di noi in particolare. Ma dono personale non significa dono individualistico! La nostra vocazione ha infatti una dimensione comunitaria. Dio ci ha chiamati a far parte di una nuova Famiglia. Ogni Congregazione religiosa è una vera e propria Famiglia spirituale.
Questa dimensione comunitaria della nostra vocazione è un riflesso del disegno che Dio ha sulla Chiesa. Come insegna la Costituzione dogmatica "Lumen gentium" del Concilio Vaticano II, Dio ha voluto salvare e santificare gli uomini, non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma riunendoli e costituendoli in un popolo, che è la Chiesa (cfr. L.G. 9). Se la vocazione cristiana ha una dimensione comunitaria, giacchè il battezzato è membro della Chiesa, a maggior ragione la vocazione religiosa implica un aspetto comunitario, che per noi è ancora più vincolante e più impegnativo. Ecco perché noi, religiosi, viviamo in comunità.
La comunione ad una medesima vocazione è l'elemento basilare che unisce tra loro i membri di ogni Famiglia religiosa. Sì, il fatto di condividere e di partecipare alla stessa vocazione ci costituisce in fratelli e sorelle nell'ambito dei nostri rispettivi Istituti. Quindi, la comunanza nella vocazione è il fondamento dell'unità di ogni Congregazione.
La Beata Vergine Maria è un fulgido esempio di come ogni vocazione presenti anche una dimensione comunitaria. In effetti, la sua vocazione personale di Madre del Figlio di Dio è sboccata e si è prolungata nella sua funzione comunitaria di Madre della Chiesa. Maria fu sola quando, per opera dello Spirito Santo, il Figlio di Dio si incarnò nel suo grembo verginale. Ma, nel giorno di Pentecoste, Essa fu circondata dagli Apostoli allorché lo Spirito Santo scese nuovamente per far nascere la Chiesa. Allo stesso modo, la nostra personale vocazione ci lega in modo del tutto particolare a coloro che Dio stesso ci ha dato come confratelli e consorelle, e pertanto ad ogni Famiglia religiosa si possono applicare le seguenti parole di Gesù Cristo: "Quello che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi" (Mt 19,69).  


La partecipazione ad una medesima e comune vocazione in seno ad una Famiglia religiosa esige da noi che abbiamo una intensa ed operosa carità prima di tutto verso i fratelli o consorelle che vivono con noi in comunità.
Rispondendo alla chiamata divina della vocazione e professando i tre voti religiosi, ci siamo impegnati a tendere, con maggior impegno, verso la perfezione della carità, che è il fine a cui si ordina tutta la nostra vita religiosa.
Questa perfetta carità consiste anzitutto nell'amare Dio con tutte le forze del nostro essere, conformemente al primo comandamento datoci da Gesù Cristo: "Amerai il Signore Dio Tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l'anima e con tutta la tua mente" (Mt 22,37). La carità perfetta implica anche l'amore del prossimo, che deve essere vissuto conformemente al secondo precetto indicatoci dal Signore. "Amerai il prossimo tuo come te stesso" (Mt 22,39).
Anzi, l'amore verso Dio è inseparabile dall'amore verso il prossimo, perché una sola e la virtù teologale della carità per la quale amiamo Dio per se stesso ed il nostro prossimo per amore di Dio. L'Apostolo San Giovanni, ci ha rivelato questa intima unione tra amore di Dio ed amore del prossimo, scrivendo nella sua prima Lettera: "Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Questo è il comandamento che abbiamo ricevuto da lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello" (I Gv 4, 20,21).
Ora la carità fraterna comincia dal prossimo che ci è più vicino e con il quale viviamo abitualmente. A questo riguardo, l'Apostolo San Paolo scrisse ai primi cristiani: "imparino a praticare la pietà - cioè la carità - prima verso quelli della propria famiglia" (I Tim 5,4). Poiché noi siamo membri di una Famiglia religiosa, ne segue che il nostro primo prossimo, il nostro prossimo più vicino sono i confratelli o consorelle con i quali condividiamo la stessa vocazione. E' nei loro riguardi che, prima di tutto, dobbiamo vivere la carità ogni giorno.
Anche qui ci illumina l'esempio della Beata Vergine Maria, Essa dimostrò il suo amore verso Dio e divenne Madre di tutti gli uomini in un modo  molto semplice: amando col suo grande Cuore di Madre prima di tutto gli Apostoli ed i discepoli che Gesù Cristo le aveva affidato come figli (cfr.Gv19,26;Att1.13-14).
Quindi il grado della nostra carità fraterna all'interno della Comunità indica qual è la vera misura del nostro amore teologale verso Dio e della nostra carità apostolica verso il prossimo in generale.

                                           

La carità fraterna, che è postulata dalla nostra vocazione, trova il suo modello supremo in Gesù Cristo, e perciò Egli ci ha detto: "Vi ho dato l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi" (Gv 13,15). Gesù Cristo è il nostro modello di carità fraterna soprattutto nel Sacramento dell' eucarestia, e perciò dall'Ostia sacrosanta, qui esposta, Egli continua a dirci: "Come io vi ho amato, così amatevi gli uni gli altri" (Gv 13,34).
Il Sacrificio eucaristico è lo stesso sacrificio di Gesù Cristo sulla croce, ma rinnovato in modo incruento sui nostri altari. Così il Signore ci ricorda che la carità fraterna è costituita anzitutto dall'immolazione e dal sacrificio di noi stessi: "Non c'è amore più grande di questo: - Egli ci dice - dare la vita per i propri amici" (Gv 15,13). La vita comune, per essere fonte di felicità, esige da ognuno di noi la morte a se stessi e la costante ricerca del bene dei nostri confratelli o consorelle: "Non cerchi ciascuno il proprio interesse, ma quello degli altri", ci ammonisce S. Paolo (Fil 2,4).
In secondo luogo, Gesù Cristo, nel Sacramento dell'Eucarestia, ci insegna a perdonare di cuore ed a continuare ad amare, nonostante le indelicatezze, le ingratitudini e le offese. Quante volte ci siamo dimenticati del Signore presente nel Tabernacolo, e quante volte l'abbiamo offeso con le nostre mancanze. Eppure Egli è rimasto sempre presente nel tabernacolo, dove ha continuato ad aspettarci, ad amarci, perdonarci ed a consolarci. Perciò San Paolo ci esorta con queste parole: "Siate benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo" (Ef 4,32).
Infine, nel Sacramento dell'Eucarestia, Gesù Cristo nasconde la sua divinità e persino la sua umanità sotto le apparenze, così comuni, del pane e del vino; così, con il suo esempio, Egli ci insegna che la vera carità fraterna è umile e silenziosa. La carità fraterna si manifesta nelle circostanze della vita di ogni giorno, nei piccoli servizi, nell'indovinare i bisogni altrui, nell'amabilità del tratto, nel rispetto, nella stima, nella comprensione. Solo se vivremo così, allora potremo dire come il Salmista: "Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme" (Sal 132,1).
Accostiamoci, quindi, con rinnovato fervore alla Santa Comunione. Nel Sacramento dell'Eucarestia il Signore ci comunica la sua forza di amare, così che possiamo adempiere ai suoi insegnamenti riguardo alla carità fraterna ed attuare pienamente la dimensione comunitaria della nostra vocazione religiosa.-


                                 LA VOCAZIONE
    
"Siate santi, perché io, Il Signore, Dio vostro, sono santo" (Lev. 19,2); queste parole che, come scrive l'Apostolo S. Pietro (I Pt 1, 15-16), Dio rivolge a tutti i membri della Chiesa, Egli, con una insistenza del tutto particolare, le dice a noi religiosi, che ci siamo consacrati totalmente a Lui. Perciò, in Questa Ora Santa, alla presenza del nostro Dio che è infinitamente Santo, rifletteremo sui vari legami che intercorrono tra la nostra personale vocazione religiosa e la santità.
La nostra vocazione è la manifestazione del disegno particolare che Dio ha su ognuno di noi. Questo disegno particolare rientra a far parte del piano più ampio e generale che Dio ha sull'umanità tutta intera. Ora in che cosa consiste questo disegno universale di Dio su tutti gli uomini? Gesù Cristo ce lo ha rivelato allorché Egli ci ha detto che dobbiamo riprodurre nella nostra vita la santità di Dio Padre: "Siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste" (Mt 5,48). Quindi, siccome la nostra vocazione religiosa si inserisce in questo disegno universale di Dio, pertanto essa segna il cammino particolare di santità che Dio vuole che noi percorriamo.
Inoltre, dato che la vocazione religiosa è un dono superiore alla vocazione dei laici nel mondo, il Signore chiama noi, religiosi, in un modo ancora più pressante e più impegnativo alla santità. Come Egli stesso ce lo ha insegnato nella parabola dei talenti, chi riceve di più nell'ordine soprannaturale, è tenuto a produrre maggiori frutti di santità di vita.
La santità, alla quale  Dio ci chiama con insistenza, non la dobbiamo considerare come un orgoglioso autoperfezionamento di noi stessi, né come un voler apparire farasaicamente migliori e superiori agli altri. No; chi progredisce veramente nella santità, percepisce sempre più il suo nulla dinanzi a Dio infinitamente santo. La santità, la dobbiamo considerare come la nostra risposta d'amore all'amore di predilezione che Dio ha avuto per noi allorché Egli ci ha dato la vocazione religiosa; e questa nostra risposta d'amore si concretizza e si manifesta nel conformare la nostra vita quotidiana alla volontà di Dio: "Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione" (I Tes 4,3), ci dice S. Paolo. Realizzando il disegno particolare che la volontà di Dio ha su ognuno di noi - disegno che si rivela nella nostra vocazione - noi corrispondiamo all'amore sovrabbondante che Dio ha per noi  e, allo stesso tempo, ci santifichiamo.
Quindi non perdiamo mai di vista che la santità è il fine che Dio stesso ha assegnato alla nostra vita religiosa; a questo riguardo l'Apostolo s. Pietro ci dice nella sua prima Lettera: "Ad immagine del Santo che vi ha chiamati, diventate santi anche voi in tutta la vostra condotta" (I Pt 1,15).
"Se vuoi essere perfetto, và, vendi quello che possiedi, e dallo ai poveri…, poi vieni e seguimi (Mt 19,21). Come al giovane ricco , anche ad ognuno di noi il Signore ha rivolto queste parole. Così Egli ha voluto farci comprendere che la nostra santificazione si realizza mediante l'osservanza dei tre consigli evangelici di obbedienza, castità e povertà, i quali sono dei mezzi finalizzati al raggiungimento della perfetta carità.
La santità cristiana consiste nella nostra comunione con Dio, perché Egli è la fonte di ogni santità, anzi Egli è la santità stessa; Dio è <il santo>, dice il profeta Isaia (Is 40,25). Ora questa nostra comunione con Dio avviene mediante la Carità; a questo riguardo l'Apostolo S. Giovanni scrive nella sua prima Lettera: "Dio è amore, e chi dimora nell'amore dimora in Dio, e Dio dimora in Lui"              (I Gv 4,16). Quindi la santità si identifica con la perfetta carità; <la carità - afferma S. Paolo - è il vincolo della perfezione> (Col 3,14). La santità nel perfetto amore di Dio e del prossimo, ecco dunque il fine di tutta la nostra vita religiosa.
Tuttavia l'esperienza ci insegna che nell'essere umano, ferito dal peccato originale e dai propri peccati, esistono degli ostacoli interiori che contrastano ed intralciano il suo slancio verso la carità perfetta.
Ebbene, questi impedimenti interiori all'uomo vengono efficacemente combattuti e vinti dai tre consigli evangelici di obbedienza, castità e povertà. Dice al riguardo la Costituzione dogmatica "Lumen gentium" del Concilio Vaticano II: "Già col battesimo, il fedele è morto al peccato e consacrato a Dio; ma per poter raccogliere più copioso il frutto della grazia battesimale, con la professione dei consigli evangelici nella Chiesa egli intende liberarsi dagli impedimenti che potrebbero distoglierlo dal fervore della carità (LG 44). Lo stesso Decreto conciliare sul rinnovamento della vita religiosa inizia con queste significative parole: "…il raggiungimento della carità perfetta per mezzo dei consigli evangelici…appare come una splendida caratteristica del regno dei cieli" (PC 1).
Quindi, con il dono della vocazione religiosa, Dio ci ha dato uno strumento privilegiato e di una efficacia unica per giungere alla santità; infatti, come insegna S. Tommaso d'Aquino, i tre consigli evangelici di obbedienza, castità e povertà ci conducono <più facilmente>, <più rapidamente> e <più sinceramente> alla perfetta carità, nella quale consiste appunto la santità cristiana. Ecco perché il Papa Giovanni XXIII chiamava i tre consigli evangelici: "la via regale della santificazione cristiana".



La nostra santificazione avviene nel contesto di una famiglia religiosa. Ecco la seconda caratteristica della vocazione di noi, religiosi, alla santità.
Il Concilio Vaticano II insegna che noi, religiosi, riceviamo dai nostri rispettivi Istituti un duplice aiuto in ordine alla nostra santificazione; la Costituzione dogmatica "Lumen gentium" dice che le famiglie religiose forniscono ai loro membri l'aiuto <di una dottrina approvata per il conseguimento della perfezione> e l'ausilio <della comunione fraterna> (LG 43).
Il primo aiuto è dunque quello di una dottrina collaudata e sperimentata che ci guida in modo sicuro verso la santità. Questa dottrina, che è il bene più prezioso che possiede ciascuna Famiglia religiosa, trova la sua origine negli esempi e negli insegnamenti dei nostri rispettivi Fondatori o Fondatrici. Essi infatti sono stati i nostri maestri e modelli di santità; il cammino di santificazione che hanno tracciato per noi, essi stessi per primi l'hanno percorso. Ecco perché questa dottrina di santità che essi ci hanno trasmesso è collaudata dall'esperienza e sicura.
Il secondo ausilio che riceviamo dai nostri Istituti in ordine alla santificazione consiste nell'aiuto fraterno dei nostri confratelli o consorelle. Santificarsi da solo nel mondo non è impossibile, ma molto difficile; scrive a questo riguardo l'Apostolo S. Giovanni nella sua prima lettera: "Tutto quello che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza" (I Gv 2,16-17). Invece, l'avere il sostegno di una Comunità per santificarci è una grazia speciale concessa da Dio a noi religiosi, perché la vita comune è un prezioso ausilio per percorrere il cammino della santità. La comunità della quale facciamo parte è il luogo dove la Divina Provvidenza ci ha condotti affinché ci santificassimo in essa.
La santificazione è anzitutto un impegno personale, perché dipende dagli sforzi e dalla perseveranza di ciascuno. Ma siccome viviamo in comunità e siccome il nostro primo prossimo sono i nostri confratelli o consorelle, abbiamo l'obbligo di aiutarci a vicenda  per progredire insieme sul cammino di santità che è proprio di ciascuna Famiglia religiosa. Edificarsi mutuamente con il buon esempio, portare i pesi gli uni degli altri, rallegrarsi insieme nei momenti gioiosi, confortarsi ed incoraggiarsi nelle difficoltà, ecco alcuni modi in cui i religiosi di una stessa Comunità, mossi dalla carità fraterna, possono aiutarsi a vicenda nella loro santificazione.
La forza per avanzare insieme sul cammino di santità tracciato dai nostri rispettivi Fondatori o Fondatrici, la attingiamo comunitariamente dal sacramento dell'Eucarestia.



        "Vieni e seguimi", disse il Signore ad ognuno di noi (Mt 19,21). La nostra vocazione religiosa si presenta quindi come un cammino da percorrere alla sequela di Gesù Cristo. Ma su questa via non siamo soli; il Signore cammina con noi lungo tutta questa via. Perciò nella risposta al dono di qualsiasi vocazione intervengono due protagonisti: Dio e la persona che è stata chiamata. In questa Ora Santa, alla presenza del Signore qui esposto, vedremo quanto Egli continua a fare per ciascuno di noi per aiutarci a rispondere alla nostra vocazione.
In primo luogo, soffermiamoci a considerare che il Signore ci chiama ogni giorno a seguirLo. La vocazione non è solo un fatto storico, avvenuto anni indietro nel corso della nostra esistenza passata; la vocazione è anche un fatto continuo, una misteriosa realtà virtuale, un'ineffabile prodigio che Dio rinnova ad ogni istante nel nostro cuore. Per capire questa verità facciamo un paragone tra il ruolo svolto dalla parola di Dio nei riguardi della nostra vocazione e nei confronti dell'universo tutto intero.
Dio, con la sua parola onnipotente, ha creato il mondo. L'autore ispirato del libro della Genesi si insegna che ogni qualvolta Dio, con la sua parola, chiamò dal nulla qualche essere, questi, obbedendo al comando di Dio, cominciò subito ad esistere. Orbene, Dio ripete continuamente questo suo ordine, affinché le cose continuino ad esistere; se Dio non chiamasse più con la sua parola gli esseri, l'universo  intero sprofonderebbe immediatamente nel nulla dal quale è stato tirato.
Lo stesso avviene rispetto alla vocazione di ognuno di noi. Dopo averci chiamato inizialmente, ad un preciso momento della nostra vita passata, dicendoci: "Vieni e seguimi", Dio ripete continuamente nel nostro cuore questa sua chiamata. Ecco perché la nostra vocazione religiosa continua ad esistere e perdura attraverso il tempo. La parola della vocazione, rivoltaci da Dio, è una parola continua, che conserva in noi il dono della vita religiosa. Se - per ipotesi - Dio dovesse tacere un solo istante, noi ritorneremmo di certo nel mondo dal quale il Signore ci ha tratti e separati.
Quindi viviamo nel raccoglimento interiore per ascoltare ogni giorno ed accogliere con una gratitudine sempre rinnovata la chiamata divina che Dio continua a rivolgerci. In effetti, Egli ripete in modo particolare a noi religiosi queste parole che disse per mezzo del profeta Geremia: "Questo comandai loro: Ascoltate la mia voce! … camminate sempre sulla strada che io vi prescriverò" (Ger 7,23).



 
In secondo luogo, Dio, oltre a continuare a chiamarci, ci dà la luce e la forza della sua grazia, così che possiamo rispondere in modo perfetto alla sua chiamata.
L'Apostolo San Paolo scrive: "Fedele è Dio dal quale siete stati chiamati… Egli vi confermerà sino alla fine" (I Cor 1,8-9). Ciò significa che non c'è contraddizione nel modo di agire di Dio.
Avendoci chiamato a vivere nello stato religioso, il Signore ci dà la luce soprannaturale per comprendere sempre meglio tutta la grandezza e la bellezza della nostra consacrazione religiosa. In effetti, Gesù Cristo disse riguardo alla comprensione ed alla stima del dono della castità consacrata per il Regno dei cieli: "Non tutti possono capire (questo dono), ma solo coloro ai quali è stato concesso   (da Dio)" (Mt 19,11).
Inoltre, il Signore ci dà la forza soprannaturale per vivere fedelmente la nostra consacrazione religiosa. Questa grazia ci aiuta a progredire costantemente nella nostra vocazione ed a perseverare in essa sino alla fine del corso terreno della nostra vita. Il Signore sa benissimo quanto abbiamo bisogno dell'aiuto della sua grazia, e perciò Egli ci ha detto: "Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me" (Gv 15,4). La grazia sana le debolezze della nostra natura, fortifica la nostra volontà, e così ci rende capaci di adempiere tutti i doveri inerenti al nostro stato di vita religiosa.
Che Dio dia a ciascuno di noi tutte le grazie di cui abbiamo bisogno nella nostra vita religiosa, e una certezza, che ci viene confermata dall'Apostolo     S. Paolo, allorché egli scrive nella sua prima lettera ai Tessalonicesi: "… Dio… vi santifichi fino alla perfezione, e tutto quello che è vostro, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile… Colui che vi chiama è fedele e farà tutto questo"                (I Tes 5,23-23).
Il Signore, però, ci darà tanto più generosamente l'ausilio della sua grazia ed il dono della perseveranza, quanto più Glielo chiederemo umilmente nella preghiera, come Egli stesso ce lo ha promesso, dicendoci: "Chiedete, e vi sarà dato" (Mt 7,7). Ecco uno dei motivi per cui la preghiera svolge un ruolo insostituibile nella nostra vita religiosa: essa va ad attingere la grazia direttamente alla sua sorgente, che è Dio.

Infine, Dio ci purifica. Dice Gesù Cristo nel Vangelo: "Ogni tralcio che porta frutto, (il Padre mio, che è il vignaiolo) lo pota perché porti più frutto"  (Gv 15,2). Dio ci purifica, affinché possiamo rispondere sempre meglio alla nostra vocazione religiosa. Questa azione purificatrice di Dio mira a strappare da noi l'egoismo e l'orgoglio, i due maggiori ostacoli che contrastano la nostra risposta alla vocazione che Dio ci ha dato.
Molto spesso però il modo in cui Dio ci purifica è veramente sconvolgente. Egli stesso dice: "Le vostre vie non sono le mie vie. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto la mie vie sovrastano le nostre vie" (Is 55,8-9). Perciò ognuno di noi deve essere attento e docile all'azione che Dio svolge nel nostro cuore; in altre parole, dobbiamo lasciarci condurre da Dio che ci guida e ci rivela la sua volontà attraverso questi tre canali: i nostri doveri religiosi che sono descritti nel libro delle nostre Costituzioni approvate dalla Chiesa, le decisioni dei nostri Superiori, che sono i suoi rappresentanti ed infine gli avvenimenti della vita nei quali la nostra volontà non interviene.
Dinanzi al mistero che circonda le vie del Signore, c'è chi dice oggi che la vocazione religiosa sarebbe soltanto transitoria, cioè che Dio ci chiamerebbe solo per qualche tempo alla vita religiosa, e poi Egli smetterebbe di chiamarci, per cui potremo tornare alla vita laicale nel mondo! Queste affermazioni sono completamente erronee. La perdita della vocazione non trova mai la sua origine, né la sua causa giustificante in Dio, ma in noi. In Dio non c'è contraddizione: il Signore ci indica sempre lo stesso cammino da seguire lungo tutta la nostra vita; è il cammino della vita religiosa alla quale Egli ci ha chiamato in passato e che noi dobbiamo percorrere fino in fondo per santificarci personalmente e per realizzare una missione specifica nella Chiesa e nella società. La contraddizione, invece, esiste nella persona umana, che può essere infedele agli impegni assunti dinanzi a Dio; come dice l'Apostolo San Paolo: "Se noi manchiamo di fede (cioè di fedeltà), (Dio) però rimane fedele, perché Egli non può rinnegare se stesso" (2 Tim 2,13).
Quando al momento della S. Comunione riceviamo il Signore, rinnoviamo il nostro proposito di corrispondere con una generosità incondizionata agli impegni della nostra consacrazione religiosa attraverso i quali il Signore ogni giorno ci fa sentire la sua voce: "Vieni e seguimi".


LA NOSTRA RISPOSTA ALLA VOCAZIONE: LA PROFESSIONE

L'autore della Lettera agli Ebrei scrive che il Figlio di Dio, al momento d'incarnarsi nel grembo verginale di Maria SS.ma, disse a Dio suo Padre: "Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato… allora ho detto: Ecco, io vengo… per fare, o Dio la tua volontà" (Ebr 10,5 ss.). Queste parole, Gesù Cristo continua, in un certo senso, a ripeterle nell'Ostia sacrosanta qui esposta, perché il Sacramento dell'Eucarestia è come il prolungamento del mistero dell' Incarnazione.
"Ecco, io vengo… per fare, o Dio, la tua volontà"; così Gesù Cristo ha espresso, e continua ad esprimere tuttora, l'oblazione totale di Se stesso a Dio suo Padre. Il suo atteggiamento di oblazione insegna ad ognuno di noi come dobbiamo rispondere alla nostra vocazione. E' su questo tema che rifletteremo nella presente Ora Santa.
La nostra risposta alla vocazione dataci da Dio è stata la nostra professione dei tre consigli evangelici di obbedienza, di castità e di povertà. Nell'atto di emettere i voti religiosi abbiamo, in un certo modo, ripetuto le stesse parole con le quali Gesù Cristo si è offerto a suo Padre: "Ecco, io vengo… per fare, o Dio, la tua volontà". Siamo diventati religiosi perché abbiamo avuto la chiara consapevolezza che la volontà di Dio su di noi si era manifestata attraverso la nostra vocazione; perciò abbiamo deciso di imboccare e di percorrere sino in fondo il cammino della vita religiosa sul quale il Signore ci invitava a seguirlo, dicendoci: "Vieni, e seguimi".
Richiamiamo alla nostra mente quel santo giorno. Tutta la comunità era in festa, e l'altare era adornato splendidamente. Ci siamo avvicinati all'altare, con il cuore trepidante, che batteva forte nel nostro petto. Sentivamo che Dio, chiamandoci alla vita religiosa, ci manifestava un amore di predilezione, ci invitava ad entrare in una comunione di vita del tutto particolare con Lui ed a vivere nella sua intimità divina.
Da parte nostra, volevamo corrispondere pienamente a questo amore sconvolgente di Dio, che si era degnato di eleggerci e di chiamarci nonostante i nostri demeriti! Mossi da un amore ardente, incondizionale, esclusivo e irreversibile verso il Signore, ci siamo legati, per mezzo dei sacri voti, a Dio solo per tutta la vita!

Anche se gli anni passano, ricordiamo sempre il giorno benedetto della nostra professione religiosa, per mantenere vive in noi quelle disposizioni interiori di ardente amore e di offerta totale a Dio, così che ad ogni istante possiamo dire: "Ecco, io vengo… per fare, o Dio, la tua volontà".

Da quando abbiamo emesso i santi voti, abbiamo consegnato la nostra vita nelle mani di Dio.
Nel giorno della nostra professione, ci siamo impegnati, davanti a Dio e davanti alla Chiesa, a vivere in obbedienza, castità e povertà, conformemente alle Costituzioni della nostra Famiglia religiosa. Abbiamo emesso non una vaga promessa, né un semplice buon proposito, ma tre voti, ossia un impegno sacro, fondato sulla virtù di religione, ed assunto liberamente davanti a Dio. Così abbiamo offerto al Signore tutta la nostra persona, e cioè la nostra anima ed il nostro corpo, e tutta la nostra vita, ossia tutti gli anni che ci rimangono ancora da vivere. L'atto della nostra professione religiosa è stato il segno visibile della nostra oblazione totale e per sempre a Dio.
Questa offerta di noi stessi è stata accettata da Dio, mediante la Chiesa; a rappresentare la Chiesa c'era il Superiore Maggiore  del nostro Istituto religioso nelle cui mani abbiamo emesso i nostri voti. Quindi, Dio, non solo ci ha chiamato alla vita religiosa, ma Egli ha anche ricevuto l'oblazione di noi stessi, la quale è stata la nostra risposta alla sua chiamata.
Dal fatto che Dio abbia accettato questa oblazione della nostra persona, ne deriva per noi una speciale consacrazione al Signore, come lo insegnano autorevolmente la Costituzione dogmatica "Lumen gentium" (n. 44) ed il decreto "Perfectae caritatis" (n. 1 e 5), del Concilio Vaticano II. La consacrazione religiosa è uno sviluppo, anzi il coronamento della consacrazione battesimale; infatti il religioso non solo ha rinunciato al peccato con il sacramento del battesimo, ma ha inteso, con la professione dei voti, donarsi totalmente a Dio, amato al di sopra di tutte le cose, e per servirlo in modo esclusivo.
Per consacrazione si intende generalmente la dedicazione totale, definitiva e perpetua di una persona o di una cosa al servizio esclusivo di Dio. Quindi, quando si dice che il religioso è una persona consacrata a Dio, ciò significa che egli non appartiene più nè a se stesso, né alle altre creature, ma unicamente a Dio, è riservato esclusivamente al servizio del Signore, ha messo tutto il suo essere e tutta la sua vita a disposizione di Dio.



Modello perfetto di questa appartenenza totale a Dio è la Beata Vergine Maria, quando essa rispose al messaggero celeste: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1,38), Maria volle riconfermare anzitutto di essersi già donata e consacrata a Dio in virtù della sua scelta della verginità perpetua e quindi di essere la proprietà esclusiva di Dio; inoltre, essa riaffermò la sua piena disponibilità a compiere tutto quanto il Signore le volesse chiedere, perché essendo la serva di Lui, non desiderava altro che compiere in tutto la sua divina volontà.



Infine, la perseveranza deve contraddistinguere la nostra risposta alla vocazione ricevuta da Dio.
Per realizzare pienamente la vocazione dataci da Dio, non è sufficiente l'aver emesso la professione religiosa; bisogna anche e soprattutto vivere davvero i nostri voti, che ci legano a Dio. A questo riguardo Gesù Cristo ci ha detto nel Vangelo: "Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli" (Mt 7,21); "per il dilagare dell'iniquità, la carità di molti si raffredderà. Ma chi persevererà sino alla fine, sarà salvato" (Mt 24, 12-13). Queste parole del Signore, applicate alla nostra professione religiosa, significano che per santificarci, anzi per salvarci, dobbiamo perseverare nell'osservanza dei nostri sacri impegni, nei quali appunto si manifesta la volontà di Dio su di noi.
La nostra perseveranza viene sostenuta ed aiutata dall'insieme degli elementi che costituiscono il quadro abituale della nostra vita religiosa quotidiana; questi elementi, che devono essere vissuti da noi nel miglior modo possibile, sono tra l'altro: una profonda vita di preghiera che si mantiene in una relazione viva e personale con il Signore, una filiale devozione a Maria SS.ma, una vita fraterna intessuta di carità fraterna, l'ordine e l'equilibrio nel modo di esercitare l'apostolato, il costante confronto tra la nostra vita e le norme contenute nel libro delle nostre Costituzioni, ecc.
La nostra esperienza passata, sia personale che comunitaria, ci insegna che molti sono gli ostacoli che intralciano la nostra risposta alla vocazione religiosa. Perciò la perseveranza richiede da noi una ferma e decisa risoluzione di proseguire sempre in avanti sul cammino della vita religiosa costi quel che costi, come ce lo insegna S. Teresa d'Avila: "Avvenga quel che vuol avvenire, succeda quel che vuol succedere, mormori chi vuol mormorare, si fatichi quanto bisogna faticare…(ma) si tenda sempre alla meta, ne vada tutto il mondo" (Cammino de perfecciòn, 21,2).
Riceveremo da Dio il premio eterno preparato per coloro che hanno abbracciato i consigli Evangelici solo se avremo perseverato fino alla fine; dice l'Autore della Lettera agli Ebrei: "Avete solo bisogno di costanza, perché dopo aver fatto la volontà di Dio, possiate raggiungere la promessa" (Ebr 10,36).


La natura stupenda di questo premio celeste ci è stato rivelata dallo stesso Signore, il quale ci ha preannunciato che, a tutti coloro che avranno perseverato nel suo santo servizio fino alla fine, Egli dirà: "Bene, servo buono e fedele, entra nella gioia del tuo Signore" (Mt 25,21); "Vieni, sposa di Cristo, ricevi la corona che il Signore da sempre ha preparato per te" (Ant. D'ingr. Messa Comune delle Vergini).



        LA VOCAZIONE COME IMMOLAZIONE

 
"Signore, resta con noi, perché si fa sera" (Lc 24,29). Come i due discepoli di Emmaus, anche noi rivolgiamo al Signore, qui presente, questa pressante preghiera, allorché, guardando quanto sta succedendo attorno a noi, sentiamo che fitte tenebre scendono nel nostro animo e ci domandiamo: la vita religiosa non avrebbe cambiato di significato?
Per avere una risposta esauriente e definitiva a questo interrogativo, noi sappiamo che dobbiamo rivolgerci unicamente a Colui che ha istituito la vita religiosa nella Chiesa: nostro Signore Gesù Cristo. Ed egli ci risponde nel Vangelo: "Chi vuole seguirmi, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perchè… chi perderà la propria vita per causa mia la salverà" (Mt 16, 24-25). E' su questo significato pratico della nostra vocazione religiosa che ci soffermeremo durante la presente Ora Santa.
"Chi vuole seguirmi rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua". Queste parole illustrano il contenuto pratico della chiamata che il Signore ci ha rivolto allorché ci disse: "Vieni e seguimi" (Mc 10,21). La vita religiosa consiste infatti nel seguire più da vicino il Signore, e cioè nell'imitarLo in modo più perfetto. Ora, come scrisse il misterioso autore dell'aureo libro della "Imitazione di Cristo": "Tutta la vita di Cristo è stata croce e martirio" (II, XII,7). Quindi, siccome noi religiosi siamo chiamati ad imitare più da vicino il Signore, perciò dobbiamo calcare le sue orme sulla via della croce, ossia morire completamente a noi stessi, immolarci.
Questo significato pratico e concreto della vita religiosa vista come immolazione di sé trova una autorevole conferma nell'attuale Magistero della Chiesa; il Santo Padre ha definito la vita consacrata in questi termini: "La via della croce: ecco il significato genuino della vita religiosa intesa come sequela di Cristo" (Paolo VI, OR, 12-13 giugno 1972, p. 2).
Inoltre i santi religiosi - i quali sono i più profondi conoscitori della vita religiosa - insegnano unanimamente la stessa verità. Per esempio, il Padre Leopoldo da Castelnovo- il noto confessore cappuccino morto nel 1942 e beatificato qualche anno fa - afferma: "Suprema grazia che Dio fa ad un'anima è la vocazione allo stato religioso; giacchè il bene che si può fare in altro stato di vita è certo qualche cosa, ma l'immolazione che si fa abbracciando un istituto religioso ha assai più valore e meriti dinanzi a Dio" (Biogr. P. 37).
Ecco dunque il significato vero e concreto della nostra vocazione; esso non può cambiare perché dipende dal Signore che ha detto: "Chi vuole seguirmi, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua". Ora le parole del Signore sono di per sé immutabili: "Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno" dice il Signore (Mt 24,35).


Il motivo fondamentale per cui la vita religiosa consiste nella immolazione costante di sé sta nella nostra unione intima con Dio.
La vita religiosa è una comunione del tutto particolare ed intima con Dio; la professione religiosa è stata sempre considerata come uno sposalizio mistico tra l'anima e Dio: Dio si dà all'anima, e questa si consacra per sempre a Dio. Questo dono reciproco tra l'anima religiosa e Dio si realizza nella carità, perché come scrive l'Apostolo S. Giovanni: "Dio è amore  chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui" (I Gv 4,16)
Ora in che modo Dio ha manifestato il suo amore a noi religiosi? In primo luogo, eleggendo - con il suo amore di predilezione - ognuno di noi per cui Egli ci dice: "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi" (Gv 15,16). In secondo luogo, Gesù Cristo si è immolato sulla croce per meritarci, come tutte le altre grazie, anche il dono soprannaturale della vocazione religiosa, per cui Egli ci dice: "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici"           (Gv 15,13).
Ora, come insegna S. Teresa d'Avila, <amore con amore si paga>. Per corrispondere a questo amore di Dio, dobbiamo fare esattamente quanto Egli stesso ha fatto per noi. Come il Signore ci ha eletto e chiamato, preferendoci a tante altre persone, anche noi dobbiamo amarLo al di sopra di tutte le persone e le cose esterne che ci stanno a cuore e quindi morire a queste: "Chi ama il padre e la madre più di me - ci dice Gesù Cristo - non è degno di me; chi ama suo figlio o sua figlia più di me non è degno di me" (Mt 10,37). Inoltre, siccome il Signore si è immolato per ottenerci la grazia della vocazione religiosa, anche noi dobbiamo rinunciare al nostro < io >, cioè morire a noi stessi per offrirci completamente a Dio: "Chi non prende la sua croce e mi segue - ci dice ancora il Signore - non è degno di me"   (Mt 10,38). Questa duplice morte alla cose di questo mondo ed a noi stessi, l'abbiamo compiuta proprio nell'atto di professare i tre voti religiosi. Quindi la croce; ossia l'immolazione, si erge al centro della nostra vita di consacrazione.
Tuttavia bisogna rilevare che questa è una immolazione d'amore, perché nasce ed è vivificata dal nostro amore personale ed ardente a Gesù Cristo. E questa forza d'amore, che ci spinge a morire a noi stessi per vivere in Cristo, la attingiamo quotidianamente dalla Comunione eucaristica; essa infatti ci comunica quella forza divina che emana dallo stesso Gesù Cristo che si immola in modo incruento per noi durante la Santa Messa.
Certo, le parole del Signore: "Chi non prende la sua croce e mi segue non è degno di me", sono forti ed esigenti. Ma non dimentichiamo che, con la carità, la croce diviene, secondo l'espressione del Signore, "Un giogo dolce ed un carico leggero" (Mt 11,30).



La croce nella vita religiosa è fonte di pienezza spirituale ed umana.  Tutti ci ricordiamo del seguente episodio narrato dall'Evangelista S. Matteo: "Pietro allora, prendendo la parola, disse a Gesù: 'Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito: che cosa dunque ci toccherà. Gesù disse loro: '…Chiunque avrà lasciato case o fratelli o sorelle o padre o madre o figli o campi a causa del mio nome, riceverà il centuplo e avrà in sorte la vita eterna" (Mt 19,27-29). Dio mai si lascia vincere in generosità: per quel poco che noi Gli diamo, immolandoci per Lui, Dio ci dà cento volte più, anzi infinitamente più, perché egli dà se stesso a noi.
La croce è davvero una realtà paradossale, perché ivi la rinuncia si trasforma in possesso di Dio, il sacrificio in felicità, la lotta in pace, l'immolazione in gioia, la morte in vita, come ce lo ha assicurato lo stesso Signore: "Chi perderà la propria vita per causa mia la salverà (Mt 16,24).
Nella rinuncia e nella immolazione di noi stessi sperimentiamo quella perfetta gioia che Gesù Cristo è venuto a portarci e riguardo alla quale Egli disse alla vigilia della sua Passione: "La mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena   (Gv 15,11). Questa gioia non è solo personale, ma è anche comunitaria, perché l'unità della Comunità religiosa nasce e si consolida per mezzo della morte di ciascuno religioso a se stesso.
Infine, l'immolazione d'amore è la fonte segreta della fecondità nell'apostolato. Il religioso, che è veramente morto a se stesso, spendendo giorno dopo giorno la sua vita per Dio ed al servizio dei fratelli, produce - con la sua testimonianza - molti frutti di bene, come ce lo ha confermato il Signore: "Se il chicco di frumento… cade in terra e vi muore… porta molto frutto (Gv 12,24).
Concludiamo questa Ora Santa con le seguenti parole del Papa Paolo VI tratte dalla sua bellissima Esortazione Apostolica intitolata < Evangelica Testificatio  > sulla vita religiosa: "La gioia di appartenere (a Cristo) per sempre è un incomparabile frutto dello Spirito Santo, che voi avete già assaporato. Animati da questa gioia, che Cristo vi conserverà anche in mezzo alle prove, sappiate guardare con fiducia all'avvenire… Nella misura in cui si irradierà dalle vostre Comunità, questa gioia sarà per tutti la prova che lo stato di vita, da voi scelto, vi aiuta, attraverso la triplice rinuncia della vostra professione religiosa, a realizzare la massima espansione della nostra vita nel Cristo… La Madre amatissima del Signore, sul cui esempio voi avete consacrato a Dio la vostra vita, vi ottenga, nel vostro quotidiano cammino, quella gioia inalterabile che Gesù solo può dare" (55.56).  Amen.

IL DISCERNIMENTO VOCAZIONALE
INTERVISTA TRASMESSA A "RADIO MARIA"


1. Cosa si intende per "vocazione"?

Il discernimento della propria vocazione nella Chiesa è una cosa estremamente importante, anzi è uno dei momenti più importanti nella vita di chi è chiamato da Dio perché riguarda l'orientamento che darà a tutto il suo futuro. Inoltre questa scelta avrà delle ripercussioni su tante altre persone con le quali Dio ha disposto che chi è chiamato entrasse in contatto per accompagnarle e aiutarle nella via della salvezza e della maturazione cristiana. Il discernere la propria vocazione è però qualcosa di molto delicato; il successo del discernimento dipende in gran parte dal grado di preparazione umana, morale e spirituale col quale ci si arriva. Un esempio ce lo fa capire: gli studenti liceali o delle scuole superiori che hanno raggiunto la maturità e l'equilibrio propri della loro età azzeccano la scelta della facoltà universitaria dove proseguiranno gli studi; invece quelli che non hanno raggiunto tale traguardo umano, sbagliano facilmente in questa scelta, cambiano poi indirizzo e tutto ciò con un grande sperpero di tempo, di energie e di denaro e non poco volte cadono nella confusione e nello scoraggiamento riguardo al loro futuro. Questo esempio ci fa capire quanto sia necessaria nell'ambito vocazionale una adeguata formazione previa.
Prima di parlarne, però, bisogna avere le idee chiare riguardo a cosa è la vocazione. In senso ampio, la vocazione è una qualsiasi chiamata da parte di Dio; in questo senso generico, si parla di "vocazione cristiana", ossia che Dio ci chiama alla vita cristiana in generale; si parla anche di "vocazione al matrimonio", e cioè che Dio chiama delle persone al matrimonio cristiano.
In senso stretto e specifico, la parola "vocazione" designa la chiamata che Dio rivolge a determinate persone per invitarle ad abbracciare la vita sacerdotale, religiosa o missionaria.

2. A volte la vocazione può apparire come una scelta personale di vita, il frutto di una decisione personale oppure essa è sempre una iniziativa di Dio nei confronti dell'interpellato?

Le espressioni adoperate per descrivere la propria vocazione religiosa o sacerdotale come per esempio "mi sono fatto prete, religioso, missionario", possono far pensare che questa scelta di vita trovi la sua origine solo ed unicamente in una decisione della persona stessa; ma si tratta di una apparenza dovuta al modo di parlare. In realtà, uno non diventa religioso, sacerdote o missionario come si diventa per scelta personale medico, ingegnere, geometra, ragioniere, ecc. La vocazione trova la sua origine non in noi stessi, ma in Dio. Essa corrisponde sempre ad una iniziativa di Dio nei nostri riguardi: "Non voi avete scelto me - disse Gesù Cristo agli Apostoli - ma io ho scelto voi" (Gv. 15,16). Questa iniziativa divina si vede chiaramente nella vocazione dell'Apostolo San Matteo, che egli stesso ha narrato nel suo Vangelo: "Allontanandosi di là, Gesù vide seduto al banco delle imposte un uomo chiamato Matteo e gli disse: 'Seguimi'. Egli si alzò e lo seguì"  (Mt. 9,9). E' Gesù Cristo che per primo chiama, e l'uomo in seguito risponde. La vocazione è una iniziativa che parte sempre da Dio. Ora il maggiore ostacolo per cogliere questa iniziativa divina è l'egoismo; ebbene, la formazione previa al discernimento aiuta l'interpellato a distaccarsi da sé, e a diventare oggettivo così da essere in grado di leggere bene il messaggio contenuto nella chiamata divina.

3. Molte volte, per non dire tanto volte, la vocazione si presenta come una sorpresa che irrompe all'improvviso nella vita dell'interpellato; c'è effettivamente una rottura col suo passato?

Sì, la chiamata divina si fa sentire ad un determinato momento della nostra vita. Ma per Dio, che è al di sopra del tempo e che vive nella eternità, non è così; se per noi la nostra vocazione è una novità che irrompe all'improvviso nella nostra vita, per Dio invece essa è una cosa già ben nota. Nella Sacra Scrittura troviamo descritte parecchie vocazioni, ed osserviamo che queste sono state prestabilite da Dio prima che le persone prescelte esistessero. Per esempio, Dio disse al profeta Geremia: "Prima che tu fossi formato nelle viscere materne, io ti conoscevo; prima che tu uscissi dal seno materno, ti ho consacrato e destinato profeta delle nazioni" (Ger 1,5). Lo stesso avviene, anche se i particolari sono diversi, per qualsiasi altra vocazione. Da tutta l'eternità Dio ha stabilito per ognuno di noi una determinata vocazione, che poi è diventata chiamata esplicita ad un preciso momento della nostra vita. La formazione previa aiuta l'interpellato a rileggere la propria storia nella luce di Dio per rendersi conto come il Signore l'ha preparato alla sua insaputa alla vocazione apparsa all'improvviso nella sua vita.

4. La vocazione è una iniziativa presa da Dio prima che esistiamo; in che modo essa si congiunge, si armonizza con la nostra personalità? Non c'è il rischio di una imposizione che fa violenza all'interpellato?

La sua domanda ci porta a scoprire il modo stupendo, meraviglioso con cui Dio mette in relazione due realtà: la vocazione e la persona del chiamato. Dicevamo prima che la vocazione è stata pensata da Dio prima ancora che la persona esistesse. La vocazione però non è l'unico elemento preso in considerazione da Dio. Da tutta l'eternità, Egli, nella sua mente infinita, ha visto e concepito ognuno di noi come una persona unica e irrepetibile, come un capolavoro unico. Ora, affinché ciascuno di noi fosse una persona unica, Dio ha predisposto di darci delle doti, delle qualità, delle caratteristiche peculiari. Insomma, Dio ha predisposto di dare ad ognuno di noi un certo numero di "talenti", come ce lo insegna Gesù Cristo nella ben nota parabola evangelica (cfr. Mt 25,14-30). Questi "talenti" sono anzitutto di ordine naturale come, per esempio, delle doti ed attitudini, e poi sono anche di ordine soprannaturale come, ad esempio, delle grazie particolari; l'insieme di questi doni di ordine naturale e di ordine soprannaturale costituiscono i tratti specifici di ognuno di noi; li potremmo chiamare il codice genetico o DNA morale e spirituale della nostra personalità.
Ora il punto fondamentale è proprio questo: Dio non sceglie a caso, e cioè in un modo irragionevole, le doti che ci contraddistingueranno, no. Egli, essendo la sapienza infinita, opera questa scelta in un modo eminentemente saggio. Infatti Dio determina per ognuno di noi delle doti particolari che si armonizzeranno con le vocazione che Egli ha stabilito per ciascuno di noi. In altre parole: è in vista della nostra vocazione che Dio sceglie per ognuno di noi gli elementi che costituiranno la nostra personalità sia a livello umano che spirituale. Queste caratteristiche peculiari che ci contraddistinguono, Dio ce le ha date, allorché ha creato direttamente dal nulla la nostra anima spirituale ed immortale al momento del nostro concepimento biologico. Così, ripensando al dono della vita ed a tutti gli altri doni che abbiamo ricevuto da Dio, anche noi, come il Salmista, possiamo dire a Dio: "Signore, sei Tu che hai creato le mie viscere e mi hai tessuto nel seno di mia madre. Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio" (Sal 138).
Ecco la prima verità da ricordare: la vocazione è iscritta in modo misterioso ma reale in ciò che potremmo chiamare il nostro DNA morale e spirituale. Ciò si vede allorché Gesù Cristo chiamò due pescatori Pietro ed Andrea a seguirlo dicendo loro: "Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini" (Mc 1, 17); con questa espressione il Signore fece loro capire che c'era una misteriosa continuità tra il loro mestiere di pescatori e la loro missione di Apostoli. Ecco perché la vocazione non è una imposizione, una violenza fatta al chiamato, ma si armonizza con la profondità della sua persona. Qui si può già intuire che il discernimento della propria vocazione richiede una profonda conoscenza di se stessi che va ben al di là della solita e superficiale immagine che ciascuno ha di sé, anzi molte volte si tratta di una sorprendente scoperta di se stessi.

5. Chi ha la vocazione rinuncia all'amore umano, coniugale ed a farsi una famiglia. Quindi si trova a fare una scelta dinanzi all'alternativa: amare o rinunciare all'amore?

Questa sua domanda ci permette di evidenziare una seconda verità molto importante riguardante la vocazione: la vita sacerdotale, religiosa o missionaria sono delle modalità, come lo è il matrimonio, per vivere la vocazione radicale all'amore che ciascuno di noi ha . Infatti, siccome "Dio è Amore" (1 Gv 4, 16) ed Egli ci ha creati a sua "immagine e somiglianza" (Gn 1, 26), ne segue che l'amore è impresso nel più profondo del mio essere; perciò la prima vocazione di ciascuno di noi è quella all'amore con la "A" maiuscola. Nella sua prima enciclica "Redemptor hominis", Giovanni Paolo II scrisse: "L'uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l'amore, se non s'incontra con l'amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente" (n. 10).
Ebbene, la vocazione all'amore compenetra tutte le dimensioni della persona ed ha quattro livelli. Il primo livello della nostra vocazione all'amore, quello più alto, è la vocazione all'amore di Dio: ciascuno è chiamato a ricevere da Dio l'amore di Lui e a corrispondere a questo amore divino amando il Signore con tutte le forze del suo essere (cfr Dt 6, 4). In secondo luogo, c'è la carità verso se stessi, la quale non si identifica coll'egoismo, ma consiste nel voler per se stessi il bene che Dio vuole per noi e questo bene si sintetizza nella santità; questo è il retto amore di sé ed è il modello, il paradigma per amare gli altri: "amerai il prossimo tuo come te stesso". In terzo luogo c'è la bontà, la vera amicizia disinteressata; infatti c'è nell'essere umano - uomo o donna che sia - il desiderio di fare del bene in modo gratuito agli altri, come avviene, per esempio, nel volontariato. Infine in quarto luogo la vocazione all'amore si manifesta mediante la sessualità; qui si colloca la vocazione generale - ossia istintiva, spontanea ed universale - all'amore coniugale tra uomo e donna per trasmettere il dono della vita e per completarsi a vicenda (cfr Gn 1, 27-28; 2, 21-24; 3, 20).
Ebbene, su questa vocazione radicale all'amore, che ha quattro livelli, si innestano tutte le vocazioni nella Chiesa, inclusa quella matrimoniale. E qui emerge la seconda grande verità riguardo alla vocazione: gli stati di vita sacerdotale, religioso o missionario sono delle diverse modalità concrete alle quali Dio chiama determinate persone per realizzare la loro vocazione radicale all'amore. Quindi la vocazione non è un rinunciare ad amare, ma è la modalità alla quale Dio mi chiama per realizzare la mia vocazione all'amore nella Chiesa. E qui si intuisce che per fare un buon discernimento vocazionale bisogna già vivere la nostra prima vocazione all'amore , bisogna già saper amare in concreto. Perciò la formazione previa al discernimento è fondamentalmente formazione al vero amore, alla carità. Invece, andare al discernimento vocazionale vivendo in modo egoistico è andare incontro ad un fallimento.

6. Oggigiorno la sessualità costituisce l'ostacolo più immediato e più diffuso che intralcia la risposta alla vocazione religiosa, sacerdotale o missionaria. E' possibile superare questo scoglio particolarmente sentito oggi e cosa si può fare?

Rispondo subito: la sessualità ben formata è una forza primordiale per rispondere alla vocazione; mentre la sessualità deformata o selvaggia è il maggiore ostacolo alla vocazione.
Ogni persona è dotata della sessualità o maschile o femminile. La sessualità umana compenetra tutta la persona e la plasma secondo le caratteristiche distintive della virilità o della femminilità a tutti i suoi livelli: fisico, psicologico, affettivo, mentale, relazionale. Quindi è una potente energia vitale che agisce come forza motrice dell'intera persona. Il nostro Fondatore P. Stanislao, ben consapevole di questo influsso della sessualità, diceva nel suo linguaggio pittoresco: "La vita sessuale è come un motore; quando funziona bene, tutto va bene; quando funziona male, tutto va male" (P 1971.01.05; 00013F*050).
La sessualità è buona in se stessa perché è stata creata da Dio come si vede nel libro della Genesi (cfr Gn 1, 27). Inoltre, come scrisse il nostro Fondatore P. Stanislao, "Cristo incarnandosi ha assunto tutta la natura umana: anima, spirito e corpo. Per cui tutto nella natura umana è buono, deve servire a santificarci e nulla può essere disprezzato e respinto, né lo spirito né il corpo". Il Papa Paolo VI scrisse nella sua enciclica Sacerdotalis caelibatus: "La scelta del celibato non comporta l'ignoranza e il disprezzo dell'istinto sessuale e dell'affettività, il che nocerebbe all'equilibrio fisico e psicologico. Il celibato esige, al contrario, una chiara comprensione, un attento dominio di sé stesso ed una sublimazione delle forze psicologiche a un livello superiore. In questo modo, eleva l'uomo anima e corpo e contribuisce effettivamente alla sua perfezione" (n° 55).
Riguardo alla sessualità deformata, l'esperienza insegna che nella stragrande maggioranza dei casi, chi ha delle difficoltà croniche con la castità è perché le coltiva, le vuole avere e così complica la vita a se stesso e molte volte anche agli altri. L'incapacità a vivere in castità quando si è celibe non è segno che uno è fatto per il matrimonio. Chi ha difficoltà con la castità prima del matrimonio, si aspetti ad avere problemi anche quando si sposerà. Anzi chi prende pretesto da tali difficoltà per non rispondere alla propria vocazione e non cerca seriamente una formazione adeguata per risolvere in modo efficace tali difficoltà, non di rado si sbaglierà anche nella scelta della futura professione o mestiere e nella scelta del coniuge. Perciò i problemi vanno non aggirati, ma affrontati seriamente durante la formazione previa al discernimento così che questi si possa fare in modo sereno e veritiero.
Riguardo alla sessualità formata mediante la castità, il vivere in modo convinto, positivo e felice questa virtù è richiesto per il successo del futuro stato di vita tanto nel matrimonio come nel sacerdozio e nella vita religiosa. Perciò la sessualità necessita di un'adeguata formazione. P. Stanislao affermava che la sessualità è il primo elemento da tenere in conto nella formazione alla carità e nella risposta alla vocazione (cfr P 1965.11.24, 00025F*001; P 1977.05.25, 00018F*311). Con la castità, vissuta secondo il proprio stato di vita, la sessualità contribuisce alla maturazione della capacità d'amore ed al perfezionamento di tutta la persona.
P. Stanislao diceva: "Chi padroneggia e domina i suoi istinti sessuali è un signore più grande di colui che dominerebbe tutta la terra" (P 1967.08.21; 00011F*094). La sessualità gestita e vissuta in modo equilibrato secondo il proprio stato di vita è la base sulla quale si appoggiano la bontà di cuore e l'amore di carità. La sessualità formata dalla castità è uno dei principali fattori della maturazione umana, della santificazione personale e dell'adempimento responsabile della propria missione. Ecco perché la sessualità ben formata è una delle forze motrici per rispondere alla vocazione.

7. Oltre alla sessualità deformata, qual è l'ostacolo più sottile che intralcia la vocazione?

E' il difetto radicale personale. Ciascuno di noi - come anche i grandi santi - ha un difetto radicale o strutturale: è quello che sta alla radice di tutti i nostri altri difetti. Questo difetto si annida nei vari ambiti della persona: desideri, attaccamento ai beni materiali, affettività e modo di relazionarsi con gli altri, sessualità, ecc. Esso deriva o da una difetto di fabbricazione (difetto ereditario), o dall'influsso negativo dell'ambiente in cui si è cresciuti (deformazione) o dalle cattive abitudini e dalle reazioni sbagliate (difetto acquisito) P. Stanislao aiutava ciascuno ad individuarlo ed a lottare contro di esso. Questo difetto radicale si ricollega quasi sempre ai sette peccati o vizi capitali; è il maggiore ostacolo che ci impedisce di rispondere sia alla nostra vocazione primaria all'amore di carità, sia a quella specifica del sacerdozio, della vita religiosa o missionaria come anche al matrimonio. È una gravissima malattia morale di cui siamo portatori più o meno sani e che può scoppiare quando meno ce l'aspettiamo provocando una strage intorno a noi: dobbiamo essere consapevoli della sua grande pericolosità. Ciascuno necessita di identificare il proprio difetto radicale e di controbilanciare coltivando la virtù contraria allo stesso modo che un vaccino ci premunisce contro un virus. E' evidente che il difetto radicale è un elemento perturbatore che incide in modo molto negativo e pesante nel discernimento vocazionale. La formazione previa dà i mezzi, gli strumenti per tenerlo sotto controllo.

8. Il carisma personale può essere un criterio, un indizio valido per discernere la propria vocazione?

Fare una scelta di vita solo in base al proprio carisma e scommettere tutto il proprio futuro solo su di esso è molto rischioso; l'esperienza insegna che è una delle cause più frequenti di fallimento perché la vita riserva sempre tante sorprese che esulano dal il nostro carisma personale o che lo contraddicano.
La formazione previa aiuta ad inquadrare ed a gestire in modo giusto il carisma personale nell'ambito di una formazione ben calibrata che abbraccia la persona nella sua interezza. Così il carisma personale va purificato dall'amor proprio, integrato con l'acquisto di virtù che lo completano. Solo quando il carisma personale è ben ordinato nella carità, esso diventa allora un ottimo aiuto per svolgere un apostolato efficace in futuro; altrimenti può diventare un mezzo per una orgogliosa affermazione di sé e quindi un elemento che perturba il discernimento vocazionale.

9. Quali sono i segni della vocazione?

Riguardo ai segni della vocazione, vi è un requisito che è una premessa: secondo gli insegnamenti del Magistero della Chiesa, riaffermati e riconfermati di recente, per diventare sacerdote, religioso o missionario ci vuole anzitutto la normalità dell'orientamento sessuale ed affettivo della persona; le indicazioni della Chiesa a riguardo sono chiarissime. Questa premessa sfata il pregiudizio, una idea abbastanza diffusa che chi è chiamato debba essere una specie di essere asessuato. Questa premessa spiega perché il Signore può chiamare chiunque delle persone normali, comuni che mai pensarono alla vocazione e la cui chiamata sorprende tutti.
In quanto ai segni più specifici della vocazione, possiamo dire che il primo indizio è il seguente: la persona di Gesù Cristo occupa un posto sempre più importante e centrale  nella vita del chiamato; c'è una forza di attrazione esercita dal Signore sul chiamato, forza di attrazione che supera la comune relazione tra il credente e Gesù Cristo.
Il secondo segno scaturisce da quello anteriore: si sente una aspirazione a fare del bene in un modo più ampio, universale, per cui uno sa che non troverà la sua realizzazione né felicità nel crearsi una famiglia, nello svolgere un lavoro, nel vivere come fanno tutti. E' un aspirazione di livello diverso, superiore, è una specie di fuoco interiore che non ci dà pace.
Il terzo segno - o meglio detto requisito - è quello avere un minimo di equilibrio psico-fisico ed affettivo ed un buon carattere; questo equilibrio umano andrà consolidato ed il buon carattere verrà migliorato con la formazione che si riceverà dopo.
Poi ci sono delle caratteristiche specifiche richieste da ogni stato di vita. Per esempio, per diventare prete, bisogna di avere le doti per guidare e gestire una comunità parrocchiale. Riguardo alla vocazione religiosa, è necessario amare la vita comune ed il lavorare in squadra; inoltre, la scelta di quale famiglia religiosa in cui entrare dipende principalmente dall'affinità che si ha con la figura, il carisma e l'opera del Fondatore.
Rispondere alla vocazione dataci dal Signore è camminare su una via sicura e fare agli altri un grande ed utilissimo bene perché si opera secondo la Volontà di Dio. Questo è il cammino della vera felicità e della vera santità.

10. Chi sente di aver la vocazione, piuttosto che scegliere e decidersi subito farebbe bene a prepararsi adeguatamente acquistando una formazione previa?

Rispondo facendo un esempio. Oggigiorno ci si rende conto che il corso di preparazione immediata al matrimonio, costituito generalmente da 6 a 8 incontri, non è più sufficiente per arginare la marea di separazioni e di divorzi che avvengono generalmente in tempi assai brevi dopo il matrimonio. A questo corso - che è l'equivalente più o meno del discernimento vocazionale - i fidanzati devono arrivare già preparati, e cioè avere la maturità, l'equilibrio ed il senso di responsabilità richiesti per discernere bene un'ultima volta se sono davvero fatti l'uno per l'altro; quindi ci vorrebbe un corso che aiuti i giovani ad imparare ad amare in generale prima di legarsi ad una persona e di fidanzarsi; dopo viene il corso di preparazione al matrimonio.
Ebbene, è esattamente la stessa cosa per il discernimento vocazionale che deve essere preceduta da una formazione previa. E questa è una evidenza che scaturisce persino dallo stesso Vangelo: prima apparve Giovanni Battista il quale preparò i suoi contemporanei ad accogliere il Messia che doveva venire in seguito; anzi il Battista diede, diciamolo così, una formazione previa a due dei suoi discepoli, Andrea e Giovanni, che poi sarebbero stati chiamati personalmente da Gesù Cristo per diventare suoi Apostoli!
L'egoismo falsifica le valutazioni che si fanno durante il discernimento vocazionale. Ne è il più grande ostacolo e si annida in vari angoli della personalità: nei difetti caratteriali, nella sensualità della sessualità, nel difetto radicale, ecc. Spesso il discernimento vocazionale viene fatto come quando si vanno a comprare le cose al supermercato; dinanzi all'ampiezza di scelta delle vocazioni nella Chiesa, si cerca quella che soddisfa maggiormente i nostri gusti personali e che costa di meno, ossia che esige meno impegno e sacrifici. In questi casi il criterio di scelta è il soggettivismo, l'egoismo, e si sa l'egoismo: ci fa commettere sempre degli errori!
Invece il discernimento vocazionale è tanto più vero, aderente alla Volontà di Dio quanto più è oggettivo, ossia tiene a bada i vari fattori perturbatori. La formazione previa tende appunto, da una parte, a tirare fuori delle doti e capacità che non pensavamo avere, a sviluppare la parte migliore di ciascuno e, dall'altra parte, a imbrigliare il proprio difetto radicale, ad acquisire l'equilibrio sessuale vivendo la castità in modo convinto, positivo e felice, ad integrare il proprio carisma con l'acquisto di doti complementari, ecc. Ma soprattutto la formazione previa ci fa imparare ad amare sul serio. Acquistare questo vero amore è il presupposto indispensabile per rispondere alla propria vocazione specifica - sacerdotale, religiosa, missionaria - la quale non è altro che la modalità alla quale Dio mi chiama per realizzare la mia vocazione all'amore nella Chiesa. Così si può andare sicuri e sereni al discernimento vocazionale, offrire a Dio la propria totale disponibilità per accettare la sua chiamata qualunque essa sia, ci piaccia o no, ed ascoltarLo allorché ci dirà nel profondo del nostro cuore a quale stato di vita Egli ci chiama. In questo modo il chiamato sarà in grado di superare l'attenta valutazione e la selezione alla quale dovrà sottoporsi allorché entrerà in un seminario o in un Istituto religioso o missionario.
La Comunità fondata da P. Stanislao si occupa tra l'altro di questa formazione previa o formazione all'amore di carità; lo fa ricorrendo all'umanesimo del Vangelo ed alla sapienza umanistica della Chiesa, la quale è "esperta in umanità". Infatti la caratteristica distintiva della formazione di P. Stanislao è quella di prendere in considerazione ciò che potremmo chiamare lo spessore della nostra umanità. Perciò il nostro Fondatore si definiva così: "Sono molto umano, molto moderno ...  senza bigottismo, né esagerazioni, senza volare sulle nubi" (P 1967.09.13 ;00010F*228). La carità investe tutte le dimensioni della persona; perciò la formazione alla carità prende in considerazione tutte le nostre componenti umane. Questa strada tracciata dal nostro Fondatore è quella che i Cavalieri della Carità seguono per accompagnare ed aiutare chi è chiamato da Dio a rispondere alla propria vocazione qualunque essa sia. Uno dei scopi apostolici indicatoci da P. Stanislao nel nostro Statuto è quello di "suscitare e coltivare le vocazioni sacerdotali e religiose" nella Chiesa (art. 11).

P. Taddeo, e.c.

13.11.2009

 
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