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Quando un giovane sente di avere la vocazione, cosa deve fare?
Come insegna il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica n. 342, la vocazione è una chiamata a "seguire Gesù nella via della verginità o del celibato per il Regno dei cieli, rinunciando al gran bene del Matrimonio per preoccuparsi delle cose del Signore, diventando segno dell'assoluto primato dell'amore di Cristo e dell'ardente attesa della sua venuta gloriosa"
Quando nasce questo desiderio in noi, bisogna approfondirlo e coltivarlo in 3 modi:
1- Buona vita di preghiera: pregando spesso Gesù, ci si familiarizza con la Sua chiamata: si chiariscono le nostre idee, facciamo crescere il desiderio che sentiamo, facciamo scomparire la paura iniziale che c'è dinanzi a questa chiamata;
2- L'aiuto di una persona competente, di solito un sacerdote: farsi accompagnare da un sacerdote, vedere con lui se questo desiderio ha le caratteristiche di una vera chiamata del Signore; capire con lui per quale forma di vita consacrata siamo fatti: vita religiosa, sacerdote secolare, vita monastica;
3- Formazione umana e spirituale: con l'aiuto di questo sacerdote, lavorare su noi stessi per correggerci dai nostri difetti che ostacolano la vocazione e per acquisire le qualità necessarie per rispondere alla nostra chiamata;
1. Se uno non si sente in grado di studiare per il sacerdozio o se ha paura di lasciare i suoi amici, casa, genitori, come si fa?
Oggi, per qualsiasi attività lavorativa, bisogna prima studiare parecchio. Parimenti, se Dio ci chiama veramente al sacerdozio, è certo che Egli ci darà anche le capacità per poter studiare. Quando ci si sposa, per forza si lasciano casa, genitori e cambiano le amicizie e ciò non è drammatico perché si fa in modo naturale. Chi ha lasciato tutto per seguire Gesù sulla via del sacerdozio, diventa un punto di riferimento, un consigliere per la propria famiglia ed amici, più di chi sta sempre in famiglia e paradossalmente è ancora più vicino ai propri familiari.
2. Si può considerare il matrimonio una chiamata del Signore come lo è la vita consacrata?
Il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna: "La vocazione al matrimonio è iscritta nella natura stessa dell'uomo e della donna" (n. 1603). Quindi, il matrimonio è una chiamata, una vocazione vera e propria, ma di per se, il desiderio di unirsi a qualcuno è insito nella natura di ogni persona, mentre la chiamata al sacerdozio, alla vita consacrata va oltre questo desiderio naturale e trova la sua origine in Gesù stesso, che chiamò di Sua iniziativa i discepoli ad unirsi a Lui. L'unione a Cristo non frustra la tendenza naturale ad unirsi ad una persona ma la eleva e gli fa trovare la sua piena realizzazione.
Per Padre Stanislao la vocazione era un dono immenso ed immeritato dell'amore di Dio verso di lui. Per questo bisogna esserne molto riconoscente per non trascurarla.
"Non bisogna avere un grande concetto di noi stessi come se facessimo un favore a Dio, ma un grande concetto della nostra vocazione e vivere in continua azione di grazie a Dio per averci fatto un dono così grande. La vocazione è come un fiore delicato che deve essere circondato di attenzioni ed essere protetto e coltivato per poter crescere" (1984.08.10).
Perché fare le preghiere del mattino e della sera?
Dio vuole che Lo amiamo con tutto il cuore, perciò bisogna pregarLo spesso. Parlando con Lui nella preghiera, Gli dimostriamo che Lo amiamo.
Tu hai un grande cuore; se non lasci Dio venire dentro, esso rimane vuoto. È triste vivere da solo così. Perciò la Chiesa, nel suo Catechismo, che tu stai studiando (Compendio n. 567) ci incoraggia a pregare Dio, soprattutto al mattino ed alla sera, che sono i due momenti principali della giornata.
Se non inizio e finisco la giornata pregando Dio, non Gli ho dato il primo posto nella mia giornata, ma l'ho dato a me stesso ed alle cose che mi piacciono.
Se invece Lo prego al mattino ed alla sera, dimostro a Dio che Lo amo, che Egli è ciò che conta di più nella mia giornata, che è la Persona più importante per me.
1. Se mi dimentico di pregare al mattino, è una mancanza?
Se non lo fai a posta o perché sei in ritardo a scuola, non è una mancanza, però quando te ne accorgi puoi riprendere la preghiera e fare in modo tale che non succeda il giorno seguente.
2. Se prego solo per far piacere a mia madre, ma non penso a quello che dico, sbaglio?
Pregare perché lo vuole tua madre, è un punto di partenza, ma pregare perché lo vuole Dio e perché ti fa bene, è ancora meglio.
Fin da giovane, P. Stanislao sentiva fortemente la necessità di pregare. Il suo amore per la preghiera si alimentava guardando come Gesù pregava nel vangelo e quanto si pregava nella Chiesa Cattolica:
"La forza della Chiesa Cattolica è la preghiera … Nel Vangelo il Signore ci raccomanda in continuazione di pregare e ci dà l'esempio, pregando, ritirandosi a parte per pregare. Se lasciamo la preghiera, siamo finiti. Io, da giovane, ero attratto dalla Chiesa proprio per questo" (1986.04.14; 00006F*460).
- Cosa fare per i miei amici che hanno abbandonato la Chiesa dopo la Cresima?
Bisogna capire perché hanno abbandonato la Chiesa. Il motivo di fondo, è perché vedono che la società offre cose più attraenti e meno impegnative che nella Chiesa. Allora, perché seguire una certa disciplina mentre l'altra via sembra così facile ed a portata di mano?
Eppure con il Sacramento della Confermazione, hanno ricevuto da Dio un grandissimo dono. La cresima fa crescere nella nostra anima la grazia del Battesimo, ci radica nella filiazione divina, ci unisce di più a Cristo ed alla sua Chiesa, dona una forza speciale per testimoniare la fede cristiana (Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica n. 268). È quindi contraddittorio che i giovani abbandonino la Chiesa subito dopo che siano stati inseriti in modo pieno in essa ed abbiano accettato di testimoniare la loro fede.
Ciò che tu puoi fare, è tu per primo dare loro l'esempio che la vera felicità si trova nel vivere il Vangelo. Il tuo esempio è un seme che ricorderà loro quanto la pratica religiosa è per loro importante, quando avranno 30 anni, e che avranno affrontato le sfide e le difficoltà della vita.
1. Sì ma nessuno va più in Chiesa oggi, come convincerli di tornare?
Ciò che tutti gli altri fanno non è un criterio di comportamento perché bisogna fare quello che è giusto di fare. Andando contro corrente, uno dimostra di ragionare con la propria testa anziché con quella degli altri. Perciò partecipando alla Santa Messa domenicale, ossia facendo il contrario della mentalità predominante tra i giovani, uno mostra di avere delle forti convinzioni personali. Facendolo tu per primo, dimostri di aver più valore di loro. Anche se esteriormente ti possono ridicolizzare, interiormente, ti invidieranno e ti ammireranno.
2. Se danno delle scuse come: i preti non vivono bene, la Chiesa è ricca, non si adatta al mondo moderno, basta pregare da solo, cosa dico?
Il più delle volte sono delle scuse per giustificarsi di non andare in Chiesa. Tutti quanti ma specialmente i giovani abbiamo bisogno di Dio e Dio ci comunica il Suo aiuto tramite i Sacramenti della Chiesa. Perciò si va in Chiesa: per incontrarci con Dio e per ricevere il Suo aiuto, non per il contorno. Chi dice queste scuse, dimostra di essere superficiale e si priva dei benefici di Dio.
P. Stanislao diceva che per essere convincenti presso i giovani, bisognava anzitutto essere convinti noi stessi della nostra fede.
"I giovani vogliono trovare qualcuno che sia sicuro di se stesso e convinto, non uno insicuro, affinché sia la loro guida" (1983.08.19; 00018F*531).
- Per quale motivazione e cosa fare per passare dalla convivenza alla casta coabitazione?
- Per convivenza, si intende un uomo ed una donna che vivono insieme come se fossero sposati, ma senza esserlo di fatto, e che hanno rapporti sessuali completi.
- Per casta coabitazione, si intende invece una unione affettiva tra uomo e donna che vivono insieme, e questa unione la quale si esprime attraverso un rapporto d'amicizia e di amore esente da rapporti sessuali.
- Nel corso di Diritto Canonico, abbiamo imparato che la Chiesa si rivendica la gestione dei matrimoni. Se una persona sposata in Chiesa, è separata, e risposata civilmente, agli occhi della Chiesa sembra un "teatro", perché non si sa più chi è la vera moglie o il vero marito di questa persona. Finché non si è regolarizzata la situazione dinanzi ad un tribunale ecclesiastico, si propone ai conviventi di astenersi da rapporti sessuali e vivere in casta coabitazione. Sì, è una specie di rimedio alle problematiche moderne tra le coppie, però aiuta la coppia a crescere nell'amore disinteressato.
1. Quali esempi e quali mezzi ci possono aiutare a vivere cosi?
Al livello pratico, bisogna evitare le occasioni che provocano tentazioni contro la castità.
Al livello spirituale, il mezzo più efficace è il ricorso alla Confessione ed alla Santa Comunione per perseverare in questo stato; e la preghiera la quale rende puro il cuore, lo colma della presenza di Dio, ed aiuta a vivere un amore casto all'esempio della Vergine Maria e di San Giuseppe. Essi hanno scelto di vivere castamente, pur essendo un vero matrimonio, spiritualizzando il loro amore al punto di essere esempi universali dell'amore più autentico che ci sia.
P. Stanislao incoraggiava le persone conviventi e che non avevano la possibilità di sposarsi a fare un salto di qualità nel loro amore, e cioè far maturare il loro amore fino a giungere all'amore di carità, all'affetto disinteressato di Gesù Cristo, che è l'amore senza ricerca di un interesse personale.
"… c'è l'affetto disinteressato, quello di Cristo : amare le persone senza cercare un interesse personale. Le persone hanno bisogno di sentire e che dimostriamo loro che le amiamo in modo disinteressato " (1986.04.02; 00018F*680).
- Quando i figli sono lontani dalla Chiesa, cosa dobbiamo fare noi genitori?
Il primo luogo dove i figli vengono a contatto con la fede ed i valori cristiani è la famiglia, perciò essa è chiamata nel Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1666 "la Chiesa domestica".
- Capire perché i giovani si allontanano dalla Chiesa e regolare il proprio atteggiamento in funzione di loro. All'adolescenza, i giovani vengono a contatto con le cose che offre il mondo da una parte, e l'insegnamento della Chiesa che hanno imparato dall'altra. Essendo più impegnativo seguire la Chiesa, piano piano si allontanano da essa per il modo frivolo ed egoistico di vivere nel mondo. Per giustificarsi, aderiscono in parte alle critiche rivolte alla Chiesa.
I genitori devono:
- evitare di essere oppressivi, invadenti cercando troppo di convincere i figli o entrando in discussione sulla fede;
- dare testimonianza silenziosa vivendo loro per primi la fede;
- pregare per i figli;
- limitarsi a fargli ragionare sulle conseguenze delle loro scelte contro la fede;
- non cadere nelle scuse della società per non credere;
- rilevare gli aspetti positivi degli insegnamenti della Chiesa nella loro vita;
1. La Chiesa viene vista in modo negativo dai giovani oggi?
Ciò è dovuto molto alla superficialità ed all'ignoranza sugli insegnamenti della Chiesa. Bisogna presentare ai giovani la vita cristiana in modo positivo:
- La morale della Chiesa anche riguardante la vita sessuale è molto bella: far capire che la castità è il modo più bello di vivere la sessualità. Oggi i giovani che vivono consapevolmente in castità fanno l'esperienza della vera libertà interiore.
- Anche nei rapporti con i ragazzi / ragazze, la Chiesa ci aiuta a relazionarsi nel modo migliore con loro, dimostrando dei valori d'altruismo, di sensibilità, di spiritualità che li distinguono dagli altri e colpisce;
- Spiritualità: In realtà, pregare, recitare il rosario, frequentare i Sacramenti, sono delle esperienze esistenziali autentiche che fanno sperimentare l'amore personale che Dio ha per loro. Quando si capisce la profondità dei sacramenti che va ben al di là dell'istituzione umana della Chiesa, un giovane dovrebbe correre per ricercarli.
2. È inutile parlare di fede perché non si può provare né che Dio esiste, né che Dio non c'è?
- È impossibile che ci siano due verità opposte: o Dio c'è oppure non c'è, non i due insieme.
- Ci sono molti ragionamenti validi oggi sull'esistenza di Dio, più validi delle speculazioni scientifiche contrarie, ma per capirli con la mente, bisogna essere disposti ad accettarli.
- Dio è una Persona, non basta conoscerLo con la mente per esserne convinto, ci vuole anche la volontà di incontrarLo.
- Chi non vuole credere all'esistenza di Dio nasconde spesso la paura di abbandonarsi a Lui, di sentirsi allo scoperto, di dover cambiare qualcosa nella sua vita.
- Per credere in Dio, ci vuole sincerità e disponibilità più che tante argomentazioni. Soltanto una mente umile potrà essere illuminata da una prova dell'esistenza di Dio.
Nell'educare i figli, Padre Stanislao consigliava ai genitori di dire la verità, ma con grande affetto.
"Educare i figli in modo troppo severo non è buono; dopo i figli prendono le distanze dai genitori; bisogna dire la verità, ma dopo, dare ai figli tutto il suo cuore di madre e di padre" (1970.11.28; 00012F*300).
- Per quale motivo, chi e quando si deve richiedere il sacramento dell'olio degli infermi?
Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica , n. 316.
L'olio degli infermi è il mezzo che Dio ha scelto per dare una grazia speciale al cristiano in malattia grave o nella sua vecchiaia, per superare le difficoltà dovute alla sua condizione.
Lo può ricevere:
- qualsiasi fedele di qualsiasi età che ha una malattia grave;
- chi l'ha già ricevuto se si aggrava la malattia o ne ha un'altra;
- chi comincia ad essere in pericolo di morte, per malattia o vecchiaia;
- dopo 65 anni si può ricevere regolarmente giacché lo stato di salute è precario.
Il malato si deve confessare, se è possibile, prima di ricevere l'olio degli infermi.
1. Nella mentalità odierna, quando si pensa a questo sacramento, si pensa che stiamo per morire, per cui siamo reticenti a riceverlo ed a proporre ai nostri conoscenti di riceverlo. È giusto così?
Di per sé, il Sacramento per i moribondi è il viatico, cioè la santa Comunione la quale dà vita eterna e risurrezione finale (Compendio DEL Catechismo della Chiesa Cattolica , n. 320).
L'aver associato troppo a lungo il sacramento dell'olio degli infermi ad una morte imminente è conseguenza dell'uso che ne facevano le generazioni precedenti, quando non c'erano più speranze per il malato e che il sacerdote arrivava vestito di nero come se fosse l'assistente del becchino. Bisogna superare questa immagine, se no priviamo il malato di un grande aiuto.
Più che alla morte, l'olio degli infermi è legato ad una malattia grave o alla vecchiaia, ed ha per primo scopo quello di dare forza al malato per affrontare la sua malattia.
2. Quali sono gli effetti di questo Sacramento?
Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica , n. 319
Nel vangelo, Gesù aveva una predilezione per gli ammalati. Questo amore per gli ammalati, Gesù continua a manifestarlo mediante l'olio degli ammalati.
Gli effetti sono:
- l'unione del malato alla Passione di Cristo, per il suo bene e per quello di tutta la Chiesa;
- conforto, pace e coraggio per sopportare cristianamente le sofferenze della malattia o della vecchiaia;
- il perdono dei peccati, se il malato non poté confessarsi prima;
- il recupero della salute fisica, se Dio vuole;
- la preparazione alla vita eterna.
Uno dei figli spirituali di Padre Stanislao racconta:
"Padre Stanislao amministrò il sacramento degli infermi ad una suora gravemente ammalata che si chiamava Suor Colomba … ci mise tanta umanità, ed anche un po' di buon umore, così che la suora piangeva di contentezza …. Fu un modo di aiutare questa suora che rimase … molto tranquilla e serena secondo il racconto delle consorelle" (Test. P. R. C. 14.01).
- Perché il sacramento della Confessione ci dà una grande pace interiore e la serenità?
Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica dai numeri 296 a 310.
Il Sacramento della Confessione è il mezzo scelto da Cristo affinché i nostri peccati vengano perdonati da Lui in modo certo.
Esso ci dà una grande pace interiore perché:
- siamo riconciliati con Dio e la Chiesa;
- ritroviamo lo stato di grazia;
- viene tolta la pena eterna dovuta ai peccati gravi ed, in parte, la pena temporale dovuta ai peccati veniali;
- godiamo della consolazione dello spirito e di una coscienza pulita;
- si accrescono le nostre forze per vivere da cristiano.
1. Quando bisogna confessarsi?
Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, dai numeri 304 a 306.
Si devono confessare i peccati gravi mai confessati, almeno una volta l'anno, o comunque sia prima di ricevere la santa Comunione.
Non abbiamo l'obbligo di confessare i peccati veniali, però la Chiesa lo raccomanda vivamente perché ci aiuta a:
- formarci una coscienza retta;
- lottare contro le cattive inclinazioni;
- lasciarsi guarire da Cristo;
- progredire nella vita dello Spirito.
2. Come ci si confessa?
Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, dai numeri 303.
Le tappe sono le seguenti:
- esame di coscienza per vedere quali peccati abbiamo commesso contro Dio, il prossimo e noi stessi;
- la contrizione, il pentimento, cioè sentirsi addolorati di aver offeso Dio;
- aver il proposito di non peccare più;
- accusare i nostri peccati davanti ad un sacerdote;
- compiere la penitenza imposta dal confessore per riparare il danno causato dal peccato.
Padre Stanislao, grande confessore, invogliava la gente a ricorrere a questo Sacramento in cui si sperimenta veramente la misericordia di Dio nei nostri confronti:
"Ogni volta che ci confessiamo e che il sacerdote ci assolve dai nostri peccati, siamo come il figlio prodigo del Vangelo: pentiti, ci gettiamo nelle braccia di Dio, che ci perdona tutte le nostre ingratitudini, e nella gioia di averci ritrovati ci riveste della sua grazia soprannaturale" (1967.08.20; 00010F*214).
- Se due persone si amano davvero prima, e vogliono sposarsi, perché non possono avere rapporti prematrimoniali?
- Per rapporti prematrimoniali, intendiamo due persone che hanno rapporti sessuali completi prima di essere sposati.
- Un tale atto sessuale non è un vero atto d'amore e non è moralmente accettabile perché non rispetta il significato profondo dell'atto sessuale e non rispetta la condizione dei fidanzati.
Il fidanzamento è uno stato provvisorio, precario; è un tempo di discernimento durante il quale i fidanzati cercano di conoscersi per sapere se l'altra persona è quella giusta con cui vivere per sempre.
L'atto sessuale è una donazione totale ed irreversibile in cui si consegna ciò che abbiamo di più intimo all'altro. Questo presuppone di aver eliminato ogni possibilità di altri partner.
Comunicare il nostro amore all'altro mediante l'atto sessuale non può avvenire prima della conclusione del discernimento perché le persone non si sono ancora scelte definitivamente. Sarebbe saltare nella nave prima di essere arrivato al porto. L'atto sessuale esige nella coppia stabilità la quale non c'è finché non si è sposati.
1. Aver dei rapporti sessuali prima del matrimonio aiuta a conoscere meglio l'altro ed a verificare la compatibilità sessuale?
Le esperienze sessuali sono così intensi all'inizio che l'entusiasmo cattura una grande parte dell'orizzonte affettivo che impedisce di conoscere bene gli altri aspetti della persona: le sue qualità, i suoi difetti di carattere. Perciò non sono una buona preparazione al matrimonio. (Corso Teologia Morale Sessuale).
Se due persone non si amano, è difficile che siano compatibili sessualmente. La vera compatibilità sessuale è una conseguenza automatica quando due persone si vogliono veramente bene. Si misura dall'armonia tra le due persone.
2. Visto che i rapporti sessuali prima del matrimonio non sono buoni, si può almeno pomiciare?
In partenza, pomiciare è moralmente sbagliato perché è una ricerca egoistica del proprio piacere, non un gesto d'amore disinteressato; è una specie di compensazione per il fatto di non poter arrivare all'atto completo. L'amore è dono di sé all'altro, non una mutua masturbazione. La sessualità è un mezzo per esprimere l'amore, non per ricavarne solo un piacere sessuale strumentalizzando l'altra persona, anche se consenziente.
Il miglior modo di prepararsi al matrimonio è la castità. P. Stanislao ci spiega come essa ci aiuta ad amare meglio:
"La castità … favorisce la piena formazione della personalità: l'egoismo restringe il cuore umano, ma è la castità che lo purifica e gli permette di dilatarsi sino a raggiungere la sua piena misura perché possa amare con tutte le sue forze" (St. art. 18; 00003I*031)
- Perché il passare dalla convivenza al sacramento del matrimonio ci ha trasformati?
Come sappiamo, il matrimonio è l'unione con cui "l'uomo e la donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, per sua natura è ordinata al bene dei coniugi e alla procreazione ed educazione della prole, tra i battezzati è stato elevato da Cristo Signore alla dignità di sacramento" (Codice di Diritto Canonico. c. 1055)
Per convivenza invece, si intende un uomo ed una donna che vivono insieme come se fossero sposati, ma senza esserlo di fatto, senza assumersi le responsabilità di un matrimonio vero e proprio.
Qualcuno che convive, desidera unirsi ad un'altra persona, ma è solo quando farà il passo del matrimonio che sentirà il suo desiderio pienamente realizzato.
- Perché così, passa da una unione insicura, instabile, di convenienza ad una unione definitiva, onesta ed irrevocabile.
- Passa da uno stato immaturo alla vita adulta, perché si diventa adulto facendo una scelta di vita chiara ed assumendosi le responsabilità inerenti a questo stato.
- Passa da uno stare insieme provvisorio, finché è possibile, alla certezza di un futuro stabile, al quale tutti noi aspiriamo.
- Gli sposi novelli si sentono trasformati perché hanno detto sì al progetto di Dio nella loro vita.
1. La maggioranza delle coppie sposate si separano oggi, non è meglio convivere piuttosto che rischiare di sposarsi?
Contrariamente a quanto si crede, la convivenza ha delle conseguenze più negative che un matrimonio difficile. Difatti, chi si ritrova a 40 anni per esempio, mai sposato, con più esperienze sentimentali fallite, ha l'impressione di non aver combinato niente della sua vita, di non aver costruito niente. Mentre chi si sposa cristianamente, a distanza di più anni, è fiero di aver costruito una famiglia e di aver perseverato fedelmente nell'amore, nonostante le difficoltà che ha dovuto affrontare per giungere a questo traguardo.
Se molti matrimoni falliscono, è perché i coniugi dimenticano che la loro unione è sigillata da un sacramento ed è assicurata dalla grazia. Il Catechismo della Chiesa Cattolica , n. 1641 insegna ai coniugi che per vivere le esigenze del matrimonio, essi devono attingere alla grazia del sacramento.
La grazia del matrimonio aiuta a:
- perfezionare l'amore umano dei coniugi;
- rafforzare la loro unità indissolubile;
- a raggiungere la santità nella vita coniugale, nell'accettazione e nell'educazione dei figli;
- perdonarsi vicendevolmente;
- a portare gli uni i pesi degli altri;
2. Perché il nostro amore dovrebbe dipendere dal matrimonio, cioè da un contratto giuridico come se fosse un tesserino che ci permette di aver dei rapporti?
In fondo, uno che non fa il passo di sposarsi e vuol solo convivere, è perché non ha ancora veramente deciso di vivere con l'altro, se no lo avrebbe già ufficializzato col matrimonio (TM Ses).
P. Stanislao aveva un'alta considerazione del matrimonio e della dignità dei genitori come co-creatori con Dio ed educatori dei figli.
P. Stanislao diceva che: "l'uomo e la donna sono co-creatori con Dio di un nuovo essere umano che esisterà per tutta l'eternità e che questa funzione procreativa è una grande dignità conferita da Dio all'uomo ed alla donna … disse a due coniugi: "Voi siete i sacerdoti della vostra famiglia", riferendosi al fatto che la famiglia è una chiesa domestica (Test. P.T.G. 03.24).
- Come comportarsi quando si sta aspettando la compagna giusta?
Ci sono tre indicazioni:
- Castità, cioè l'equilibrio sessuale: aiuta ad acquisire il dominio di sé, ad amare le ragazze per se stesse anziché perché ci attraggono, a raggiungere la maturità sessuale inserendo l'istinto sessuale al suo giusto posto nell'insieme della persona;
- Dare il primo posto a Dio ed ai Sacramenti ricevendoli regolarmente, in modo da non mollare la fede appena si presenterà la compagna, ma da poter vivere la relazione con questa persona secondo gli insegnamenti della Chiesa;
- Frequentare le ragazze e ragazzi in genere, e non tale ragazza, per imparare a conoscere la psicologia dell'altro sesso in modo oggettivo, il suo modo di pensare e di agire;
1. Se non trovo la persona giusta, ho fallito e mollo tutto?
Non si può ridurre tutta la nostra esistenza all'ansia di trovare la persona giusta, perché non dipende solo da noi. Anche se si trovasse la persona ideale, essa non basta per soddisfare la sete d'infinito del cuore umano, che solo Dio può dissetare.
Perciò utilizzare questo tempo di attesa per prepararsi interiormente, per crescere e perfezionarsi come uomo e donna, in modo tale da essere pronto quando arriverà il momento giusto.
2. La castità, per chi è celibe, è una virtù solo negativa o ha anche una dimensione positiva?
Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2337. La castità è la sessualità integrata positivamente nella persona affinché essa abbia la padronanza di sé e sia pienamente capace di donarsi al prossimo.
Il paragone tra l'acqua e la sessualità ci aiuterà a comprendere l'importanza della castità. Dove c'è acqua, c'è vita. Anzi quando l'acqua è presente in quantità equilibrata ed è convogliata da argini, essa diventa una forza vitale: serve per l'irrigazione, per gli usi domestici, per produrre l'elettricità, ecc. Al contrario, quando l'acqua è in quantità smisurata e non ci sono argini, essa diventa una forza di morte: distrugge tutto, la natura e gli uomini; pensiamo al maremoto nel Sud Est asiatico. Ebbene, come l'acqua, la sessualità è una forza vitale. La castità convoglia la forza vitale della sessualità per lo sviluppo armonico della persona. La castità è il modo più bello, più normale di vivere la propria sessualità; senza di essa è la sessualità che domina la persona.
La castità non è riservata ai religiosi o una minoranza, ma è per tutti. Fin da giovane, Padre Stanislao ne ha capito la portata e l'ha messa in pratica nei suoi rapporti con le ragazze.
Il giovane Stanislao usciva con le ragazze, anzi, essendo un bel giovane e per di più appartenente alla nobiltà e con un futuro promettente, egli veniva letteralmente preso di mira; con il suo solito umorismo P. Stanislao racconta: "Non correvo dietro alle ragazze, erano loro che correvano dietro a me". Queste uscite con le ragazze avvenivano, però, nel più grande rispetto e nella correttezza. Diceva: "Tutto il tempo che sono stato laico, sono rimasto casto e puro" (1970.03.14; 00005F*095). ("Amo tanto..." p. 21).
Quando il miracolo chiesto nella preghiera non accade, come affrontare questa situazione?
La Sacra Scrittura raccomanda la preghiera di domanda la quale deve essere perseverante: "Chiedete e vi sarà dato". Tuttavia non deve essere una fredda ripetizione pensando di aver il diritto ad ottenere la grazia, ma deve essere una calorosa insistenza che cerca anzitutto la volontà di Dio.
Quando la domanda non è esaudita, bisogna controllare l'autenticità dei gradi della nostra richiesta. In teologia morale, studiamo che ogni domanda di grazia fatta a Dio deve seguire un ordine di valori:
1. voler rimanere fedele a Cristo qualsiasi cosa avvenga;
2. utilizzare bene i doni che già abbiamo a disposizione;
3. chiedere il bene particolare, il miracolo per me o per il mio prossimo;
Possiamo essere certi che se il miracolo non accade nonostante le nostre buone disposizioni interiori, Dio ci darà perlomeno la grazia di accettare la realtà ed i mezzi per affrontare la prova in modo da trarre un bene da un male.
1. Chiedere delle grazie e pregare per se stesso non è una forma di egoismo o di condizionamento di Dio?
Ci vuole un equilibrio.
Anzitutto, è Gesù stesso che ci incoraggia a chiedere: "chiedete e vi sarà dato"(Lc 11, 9); anche se non si apre all'amico che chiede del pane di notte, si aprirà a motivo della sua insistenza (Lc 11, 5). Quando si chiede una grazia, non si cambia Dio, ma si cerca di realizzare il Suo piano, ciò che Lui stesso vorrebbe fare. Dio ama che Gli parliamo e quando il Suo intervento non è sempre evidente, è perché Egli utilizza questo metodo per farci maturare nel nostro rapporto con Lui. (Teo Morale, virtù della religione).
Se da una parte pregare per i bisognosi è una forma di altruismo molto bella, da un'altra parte, è volontà di Dio che ci santifichiamo per cui, dobbiamo per forza chiedere delle grazie per noi: l'umiltà per esempio. Basta che non diventi una forma di perfezionismo.
2. Forse Gesù faceva solo miracoli 2000 anni fa, ma adesso non ne fa più?
Quando vediamo le numerose guarigioni fatte da Gesù nel Vangelo, ci viene da pensare: ma oggi, Dio non può più fare miracoli? In realtà, dei miracoli autentici avvengono ancora oggi, pensiamo a quelli operati dai Santi come il curato d'Ars o Padre Pio. Pensiamo alle guarigioni senza spiegazioni scientifiche avvenuti a Lourdes, o adoperati per i processi di canonizzazione dei Santi. Se non ci accorgiamo di questi miracoli, non è perché non ci sono, ma è perché il bene non fa rumore: Dio agisce in modo discreto nella vita di ogni credente, senza rumore.
Padre Stanislao credeva nei miracoli ma nel quadro di una spiritualità molto equilibrata. Il centro della sua fede era quello indicato dalla Chiesa Cattolica: Gesù Cristo realmente presente nel Sacramento dell'Eucaristia.
"Perché correre dietro a visionari ed a tutta questa gente? Abbiamo il più grande miracolo nell'Eucaristia, Dio presente nel tabernacolo" (1986.02.01; 00006F*439).
17° RICORRENZE DELLA PIA DIPARTITA DI PADRE STANISLAO
1°APRILE 2006
DOMANDE SPINOSE PIU RICCORRENTE E RISPOSTE
del C. Jonathan Chabot e.c.
- Le coppie senza figli: chiudersi o impegnarsi nel volontariato, affidamento, adozione?
Purtroppo, il non poter avere figli è un grande dolore e provoca anche un grave choc al coniuge dichiarato sterile ed anche all'altro coniuge. Spesso questa dichiarazione sembra come una sentenza imposta da Dio. Ci si chiede Perché? Abramo stesso rivolse la domanda a Dio: "Mio Signore Dio, che mi darai? Io me ne vado senza figli" (GN 15, 2). Esiste una gerarchia nella fecondità: la prima è quella spirituale alla quale tutti noi siamo chiamati, dopo viene quella fisica che è il riflesso di quella spirituale. Chiudersi equivale a non vedere quella spirituale. Quindi l'importante nel caso della sterilità in un matrimonio, è di accettare e affrontare nel modo giusto questa dura prova e non ripiegarsi su se stessi, ma aprirsi agli altri. Il Catechismo ci indica tre possibilità: l'adozione, l'affidamento oppure svolgere qualche servizio significativo a favore del prossimo.
1º E' dannoso o è proficuo per le coppie, essere a contatto con dei bambini che non possono essere di loro?
Non dovrebbe essere dannoso per la coppia, tutto sta nel modo in cui questo rapporto viene vissuto. Intanto, basta pensare che anche chi ha dei figli, deve essere consapevole che i figli non sono suoi, ma che sono un dono di Dio e perciò devono essere educati come un dono da rispettare e da fare crescere secondo la volontà di Dio e non come una proprietà personale.
2º Il fatto di non avere figli è un castigo o è una vocazione?
Spesso, l'uomo si inganna pensando che le cose gli sono dovute. Come ce lo ha insegnato il nostro professore di etica speciale, non esiste il diritto ad avere figli, i figli sono un dono che abbiamo il dovere di accogliere, ma non esiste nessuno diritto a riguardo. Il non poter generare non è un castigo, ma diventa una vocazione che chiama la coppia a realizzare un altro tipo di fecondità e che spesso è più preziosa e cioè la fecondità spirituale. Si è chiamati a vivere una maggior generosità, un più grande dono di sé. Chissà, forse Dio permette questa prova, perché sa che questa coppia è capace di una maggior generosità, è capace di un amore ancora più gratuito.
Ascoltiamo P. Stanislao che racconta come sua madre adottò una bambina:
"Mia madre aveva adottata una piccola bambina abbandonata da sua madre e quest'ultima non si era mai più interessata di lei. Quando la ragazza ebbe diciannove anni, sua madre si presentò a lei affinché tornasse con lei. La giovane ragazza le rispose: 'Tu non sei mia madre, mia madre non sei tu che mi ha messo al mondo e che poi mi ha abbandonata, ma colei che mi ha educata, che ha sofferto per me e che si è preoccupata per me" (1974.04.24; 00006F*045).
- Se Dio è buono, perché Egli permette la sofferenza, specie degli innocenti, nel mondo?
Prima di tutto, occorre dire che Dio non vuole il male nel mondo, ma si limita solo a permetterlo. C'è una grande differenza: nel primo caso ci immaginiamo Dio come un Sadico; invece, nel secondo vediamo che Dio rispetta la nostra libertà e le conseguenze dei nostri atti. Tutta la sofferenza che esiste nel mondo trova le sue radici ultime nel peccato originale commesso da Adamo ed Eva, ma Dio permette che ciò avvenga perché Egli è così onnipotente da trarre il bene dal male. La conferma suprema di questa verità è la morte orrenda del suo Figlio in Croce, che è diventata il pegno della nostra salvezza eterna.
1º Come mai chi ha la fede, prega, riceve i sacramenti, non fa del male a nessuno, viene comunque afflitto dalla malattia? Perché Dio non lo guarisce?
Non bisogna pensare che la malattia o la sofferenza sia un castigo di Dio per qualcosa che abbiamo commesso personalmente. Come dice il catechismo, le sofferenze in generale sono una conseguenza del peccato originale che ha ferito la nostra natura umana per cui essa ha delle disfunzioni, tra cui la malattia. Gesù Cristo ha sofferto durante la sua vita terrena e lo stesso è avvenuto per Maria SS.ma. Non è perché uno è afflitto da una malattia che deve pensare di essere abbandonato da Dio, anzi Dio si prende cura dei sofferenti. Bisogna dunque perseverare nella vita di fede e chiedere con insistenza la nostra guarigione, ma rimettendo la nostra vita nelle mani di Dio ed accettando sempre la sua santa volontà.
2º E' possibile vivere questa sofferenza come una missione nella Chiesa, ossia come una vocazione?
Di fronte alla malattia, si possono assumere due reazioni: una positiva o una negativa. Se qualcuno, quando viene colpito dalla malattia si ribella di fronte ad essa, egli non trova pace e tutto gli va peggiorando, mentre se si reagisce in modo positivo e si accetta la malattia come una vocazione si può fare tanto del bene. Le nostre sofferenze sono come una perla preziosa e la voce del dolore è la preghiera più ascoltata da Dio. Perciò se offriamo le nostre sofferenze a Dio, collaboriamo in un modo misterioso ma reale con la Provvidenza Divina e perciò le nostre sofferenze diventano mezzi di purificazione e di salvezza per noi e per gli altri. C'è una salmo molto significativo al riguardo che dice: "Chi semina nelle lacrime mieterà con giubilo. Nell'andare, se ne va e piange, portando la semente da gettare, ma nel tornare, viene con giubilo, portando i suoi covoni" (Sal 126, 5-6). In altre parole, vivere la nostra sofferenza in modo positivo significa che questa diventa meno pesante perché non è più una barriera che ci impedisce di fare quanto fanno gli altri, ma diventa un'opportunità per fare cento volte più degli altri e questo per il mondo intero.
Pur essendo afflitto dalla sofferenza fisica a causa della malattia e dalla sofferenza morale a causa delle incomprensioni, P. Stanislao affermava con grande convinzione:
"Non sono d'accordo con il fatto di presentare Dio come un Dio che vuole che soffriamo. Dio non è sadico, no; Dio è amore, carità. Dio ci ama immensamente. (1973.10.11; 00007F*173)
- Come spiegare che la propaganda a favore dell'aborto è una grande menzogna?
Non c'è più grande menzogna che quella di dire che l'aborto non è un male. C'è una grande confusione oggi tra ciò che è corretto e morale da una parte e ciò che è legale dall'altra. Per cui si pensa che l'aborto, perché è legale, è moralmente accettabile e che quindi in fin dei conti non è peccato. Il catechismo ci insegna la verità riguardo al valore della vita: la vita umana va rispettata nella sua dignità fin dal concepimento e che non si può assolutamente porre fine alla vita di un innocente senza difesa come quella di un bimbo nel grembo della madre. Anzi, l'aborto è un omicidio molto grave e perciò la pena di questo peccato è la scomunica. La pena può sembrare pesante, ma le stesse conseguenze di questo peccato sono molto gravi. Oltre, ad interrompere la vita di un innocente, l'aborto provoca danni fisici e psicologici alla donna che si fa' abortire. Spesso le conseguenze per la donna sono come una bomba a ritardamento e quando questa scoppia si vive un grande trauma interiore.
1º E' vero che prima di nascere il bambino non è un essere vivente?
Nel dibattito sulla definizione della vita, si dicono tante falsità. Si cerca di dimostrare che non c'è vita prima di un determinato tempo, ma in realtà sono tutte falsità, perché la vita c'è dal momento in cui lo spermatozoi feconda l'ovulo della donna, poiché proprio in questo momento si innesta un movimento vitale unico, comincia la vita di una nuova persona. E' un essere che sin dal primo momento ha il suo proprio codice genetico, il suo DNA, e quindi è un individuo distinto dalla madre. Come possiamo pretendere di avere il diritto di decidere sulla vita di un'altra persona? Ogni individuo ha il diritto alla vita.
In filosofia della natura impariamo che tutto nella natura passa dalla generazione alla corruzione. Tutto ha una continuità che va da un punto di partenza fino ad un punto di arrivo. Spezzare questa continuità o negare il suo punto di partenza equivale a negare la realtà. Niente nella natura inizia ad essere in modo già compiuto, ma tutto inizia da un piccolo slancio vitale che tante volte non è visibile all'occhio umano. Pensiamo ad esempio a chi coltiva i fiori: con quanta cura essi seminano e si curano del seme perché sono consapevoli che in quel seme vi è già la bella pianta che poi fiorirà. Parimenti, il bambino non diventa un essere vivente quando esce dal grembo della madre, ma quando l'ovulo viene fecondato, perché proprio in quel momento inizia una nuova vita che poi si svilupperà fino al diventare un bambino.
Il generare la vita umana, non è mai esclusivamente opera nostra, ma anzitutto opera di Dio alla quale i genitori partecipano. Perciò occorre pensare che la vita che prende posto nel grembo della madre è voluta da Dio. E' Dio stesso che l'ha creata con il nostro ausilio e perciò solo Lui ha potere sulla sua sorte. La Sacra Scrittura ci illumina a riguardo dicendo: "Il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fino dal grembo di mia madre ha pronunziato il mio nome" (Is 49, 1).
P. Stanislao era un grande difensore della vita. Ascoltiamo questo fatto della sua vita che egli ci racconta: "In Argentina, conoscevo una famiglia distinta… la figlia rimase incinta al seguito di una relazione con un uomo sposato. Per lei, era una grave vergogna e voleva abortire; Mi sono messo in ginocchio dinanzi ad essa e lo supplicata di non farlo. Non ha abortito. Così ho salvato un bambino".
(1987.02.26;00018F*902)
- Come spiegare la fedeltà coniugale ai giovani, specie alle coppie che si separano?
Il primo passo per convincere i giovani e le coppie dell'importanza della fedeltà coniugale è quello di spiegarne i grandi benefici che sono reali, mentre i supposti benefici della separazione si rivelano in realtà falsi. I benefici riguardano anzitutto i coniugi. Quale serenità e felicità per i coniugi allorché malgrado le difficoltà e gli ostacoli, continuano ad amarsi reciprocamente ed a lavorare insieme. Acquistano una fiducia in loro stessi per affrontare insieme e nel modo giusto i futuri problemi. Hanno fiducia nella loro reciproca buona volontà. La loro capacità di donazione cresce sempre più. Sperimentano la certezza dell'aiuto di Dio. Invece, la separazione non fa' altro che ingenerare un profondo senso di sfiducia, di fallimento e di delusione. Se si ricomincia con un'altra persona, si è più calcolatore, egoista, e si rimane sempre con una profonda tristezza per un ideale mancato. Per quanto riguarda i figli, è immensamente meglio per loro avere dei genitori uniti, anche se con dei contrasti, piuttosto che divisi. L'esperienza insegna che tutti i valori morali, presenti e futuri, dei figli sono legati come le costole alla colonna vertebrale che è l'unione tra i genitori.
1º Avvolte non mi sembra più possibile la fedeltà coniugale, come mai così tante coppie si dividono?
In primo luogo, la fedeltà coniugale è il frutto di una seria preparazione al matrimonio. Amare non è facile e il matrimonio non è come quando si era fidanzati. Una volta sposati e che si vive sotto lo stesso tetto, ci si confronta giorno e notte con i difetti e le abitudini del coniuge che sono spesso ben diverse dalle nostre. bisogna avere la maturità per affrontare bene queste difficoltà ed essere pronti a fare la propria parte per migliorare il rapporto. In secondo luogo, la fedeltà coniugale è frutto dell'aiuto di Dio. Dio stesso ha suggellato il consenso degli sposi e si è compromesso assieme a loro per la riuscita del matrimonio. Così, Egli si impegna a dare tutte le grazie di cui gli sposi hanno bisogno lungo tutta la loro vita.
2º Ma in questo senso, qual è il vero fondamento dell'amore? Sentimenti che vanno o vengono o si identifica con il senso di responsabilità?
Oggi si confondono piacere, sentimenti e amore. Anzitutto il piacere è al livello fisico, non è duraturo, ma è sempre momentaneo. I sentimenti, sono di livello affettivo e sono mutevoli a secondo delle situazioni. Invece, il vero amore si identifica con il senso di responsabilità. Come ce lo ha insegnato il nostro professore di etica speciale, l'amore è capacità di dono, di comunicazione, di reciprocità, è capacità di dimenticarsi per l'altro. L'amore non è dunque una questione egoistica e momentanea, ma è duraturo. Quando si ama, ci si fa carico della persona amata, della quale ci si sente responsabile. Per cui, si continua ad esserle vicino tanto nel bene come nel male. Quest'amore coniugale viene purificato, consolidato e rafforzato dalla carità coniugale che Dio comunica tramite i sacramenti.
Parlando dell'aiuto che P. Stanislao dava alle coppie, un testimone disse: P. Stanislao cercava di identificare la causa del problema matrimoniale; poi dava dei consigli pratici, suggeriva delle virtù cristiane ed umane da mettere in pratica; infine raccomandava di accostarsi regolarmente ai sacramenti per ricevere la forza della grazia e di pregare chiedendo a Dio ed a Maria SS.ma Madre della Carità la grazia della soluzione di quel problema (Test. P. T. 03. 25).
- Perché superstizione, cartomanti, maghi, oroscopo, ecc. sono contrari alla fede?
Se si guarda la vita, in modo realistico ed oggettivo, non si può non ammettere e constatare che Dio interviene nella vita di ognuno di noi. In un modo o nell'altro, Egli si manifesta a noi e guida i nostri passi sulla via giusta quando ci affidiamo a Lui. Dare retta alla superstizione, ai cartomanti, ai maghi, agli oroscopi ecc. significa pensare che siamo condizionati dagli avvenimenti e che non possiamo fare altrimenti; significa anche che mettiamo la nostra fede in ciò che non è di Dio. Perciò diventa una forma di idolatria ed è una grave trasgressione contro il primo comandamento: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente".
1º Tante volte quel che dicono gli oroscopi o i cartomanti sembra avverarsi e ogni volta che mi capita una sventura mi sembra che è dovuto ad una fattura o perché mi è capitata qualche iella, come mai?
In realtà, l'uomo che dà retta alla superstizione, agli oroscopi o ad altro, compie le sue azione nell'aspettativa delle cose promesse. E' una forma di autosuggestione, di autoconvincimento. Perciò la minima cosa che gli capita viene interpretata alla luce di queste dicerie invece di vedere realisticamente che queste sono conseguenze dei propri sbagli, o il risultato dei propri sforzi ed azioni. Queste forme di idolatria ci impediscono di beneficare della Provvidenza di Dio che non viene mai meno.
2º Perché non posso portare il corno, è solo per proteggermi dal male?
Il corno è un simbolo che si rifà alla superstizione e chi gioca con questa alla fine si brucia. L'onnipotenza di Dio nell'aiutarci si manifesta principalmente attraverso Maria SS.ma. Perciò portiamo la Medaglia miracolosa della Madonna, perché la Vergine Maria è reale e potente e ci aiuta veramente.
P. Stanislao era fiducioso nella Divina Provvidenza e perciò egli diceva: "Io credo e sono pienamente convinto che Dio vuole in tutto il mio bene"(1972.05.02; 00014F*156).
- Ho perso mia madre, come devo affrontare ora questa mia situazione?
Di fronte alla morte, si sperimenta sempre il dolore per la perdita dei nostri cari ed è normale; gli stessi Apostoli e la Madonna furono addolorati di fronte alla morte di Gesù. Tuttavia non bisogna rinchiudersi nel proprio dolore, ma dobbiamo alzare lo sguardo verso Gesù, fiduciosi perché Egli ha vinto la morte. San Paolo ci dice nella sua lettera ai Corinzi, che chi muore "va ad abitare presso il Signore" (2 Cor 5, 8). Difatti, non è che tutto finisce qui, abbiamo un'anima immortale che non dipende da questo mondo, ma che dipende da Dio. Ho studiato che gli stessi filosofi pagani dicevano che tutto cambia intorno a noi, ma che c'è qualcosa in noi che non muta, e ciò dimostra che questo qualcosa, ossia la nostra anima spirituale, non dipende dalla materia e quindi non finisce con la morte, ma continua ad esistere per sempre.
1° Non sono vittima di una ingiustizia che sia proprio mia madre?
Se Dio ci comanda di amare, obbedire, rispettare ed essere grati ai nostri genitori, quanto più Egli vuole che essi siano accanto a noi. Perciò la scomparsa di un genitore non è mai, assolutamente mai, un castigo inflittoci da Dio. Anzi, Dio ha un amore di predilezione, una sollecitudine, una protezione speciale per chi è privo di un genitore. Possiamo trovare molti passi nella Sacra Scrittura dove Dio dimostra la sua predilezione per gli orfani, perché come dice il Salmo 145: "il Signore sostiene l'orfano" (Sal 145, 9).
2º Perché ho l'impressione che manca una parte di me, ovvero una parte importante della mia vita ?
E' normale che la morte dei nostri cari crei un vuoto nella nostra vita; siamo attaccati a determinate persone, in particolare ai nostri genitori. Tuttavia la loro assenza fisica è un invito a sviluppare un altro tipo di rapporto con loro, perché chi è stato padre o madre in terra continua ad esserlo nell'aldilà e quindi dobbiamo pregargli, come in un dialogo con loro, durante le nostre giornate. Essi, essendo vicini a Dio, ci amano e ci aiutano ancora di più e meglio. In realtà, questa sua dolorosa esperienza di orfano o orfana, accettata con maturità umana e nella luce della fede, potrebbe trasformarsi in una intensa esperienza della Paternità e Maternità di Dio e della sua Provvidenza nei suoi riguardi: dice il Salmista: "mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, ma il Signore mi ha raccolto" (Sal 26, 10).
P. Stanislao era molto consapevole che la vita continuava dopo la morte, egli diceva: "La vera vita non è quaggiù ; la vera vita comincia dopo la morte, nell'aldilà, nel cielo " (St 1974 art. 29; 00002F*042).
- Il partecipare alla S. Messa domenicale mi ha trasformata; come farlo capire agli altri?
Spesso ci risulta difficile spiegare con i termini giusti o con buoni paragoni tutto il beneficio spirituale che ricaviamo dalla S. Messa domenicale, perché sono dei grandissimi doni di Dio che superano le nostre parole. Forse un buon paragone sarebbe quello di un Bancomat. Pensi se lei avesse accesso al bancomat dell'uomo più ricco del mondo e che potesse trarre da questo bancomat tutti i soldi che volesse senza che esso si esaurisca mai. Ebbene, così avviene nella S. Messa Domenicale, Dio ci dà accesso al suo bancomat di grazie e vi possiamo attingere come vogliamo, basta adempiere le condizioni richieste. Come per il bancomat ci sono tre tappe, così per la S. Messa: In primo luogo, dobbiamo inserire la scheda per accedere al bancomat e cioè una frequente confessione che ci dà accesso alla S. Comunione. In secondo luogo, dobbiamo inserire il nostro codice segreto e cioè pregare Dio con tutto il Cuore ed essere ben attenti alle letture ed alle preghiere della S. Messa. Ed in terzo luogo, ritirare i soldi e cioè ricevere la S. Comunione. Queste tappe eseguite bene, riempiono di grazie la nostra anima; Dio ci trasforma di sicuro e troviamo la vera serenità e la vera felicità.
1º Tante volte però mi chiedo perché è obbligatorio partecipare alla S. Messa Domenicale?
Infatti, il Catechismo della Chiesa Cattolica ci insegna che partecipare alla S. Messa domenicale è un precetto della S. Chiesa cattolica. Non rispettare questo precetto è una grave mancanza che prende l'ampiezza di un peccato mortale. Uno può chiedersi perché la Chiesa ci vuole obbligare in questo modo, ma in realtà la S. Chiesa è come la nostra madre che sa ciò che è buono per noi. Perciò come la nostra madre ci obbligava da piccoli a mangiare la verdura per la nostra salute, così la S. Chiesa ci obbliga a partecipare alla S. Messa domenicale per la nostra salvezza e per la nostra santificazione.
P. Stanislao ben sapeva quante grazie possiamo trarre dalla S. Messa; era per lui ciò vi è di più sublime. Perciò egli affermava: "Dopo il Buon Dio, la Messa è ciò che c'è di più grande al mondo" (1984.08.24; 00018F*587).
- Parecchie cose nella società non vanno, cosa è meglio: criticare o impegnarsi a migliorarla?
Parafrasando il ben noto proverbio si può dire che oggi si è più bravi a chiacchierare che a razzolare. Si vedono tante situazioni drammatiche, ingiustizie, miserie, crisi di ogni genere. Dalla famiglia all'economia, tante cose vanno male e tutti si lamentano. Chi critica, si erge solo per giudicare quanto avviene e, benché abbia ragione su tanti aspetti, le sue critiche rimangono semplici chiacchiere. E' un falso ed inefficace protagonismo, anzi, la critica diventa spesso, anche se in modo nascosto, una scusa per non impegnarsi, per non darsi da fare perché si dice: "intanto non ci posso fare niente". Invece il vero protagonismo sta nell'impegnarsi per cambiare, migliorare la società.
1º Cosa possono cambiare due gatti che si impegnano a migliorare una società immensa?
Il primo cambiamento che ciascuno di noi deve fare non riguarda né gli altri né la società, ma se stesso: ben formarsi umanamente, ossia correggere e migliorare il proprio carattere, formarsi spiritualmente, impegnarsi seriamente nello studio a scuola, all'università per acquistare nel futuro la dovuta competenza professionale e così essere in grado di esercitare una influenza positiva nella società. In secondo luogo, bisogna essere consapevoli della nostra responsabilità nei confronti della società. Come riceviamo tanto dalla società e dai sacrifici delle generazioni passate, così dobbiamo dare pure noi. Dobbiamo mettere a servizio degli altri le nostre capacità, le nostre doti e poi farci carico delle nostre responsabilità personali: l'educazione in famiglia, il proprio lavoro, l'impegno sociale ecc. Più ci impegniamo e più diamo agli altri, tanto più possiamo cambiare la società. In terzo luogo, il giovane cristiano deve essere convinto che è Dio stesso che renderà efficace la sua azione nella società; dice Gesù Cristo nel Vangelo: "Chi rimane in me ed io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla" (Gv 15, 5)..
2º Chi mai vedrà l'esempio che diamo?
In realtà, il buon esempio porta sempre i suoi frutti, anche se non si vedono subito i risultati ed anche se ci sembra di essere disprezzati dagli altri. Non importa il numero di persone che si impegnano, l'importante è l'intensità e l'amore con il quale lo si fa. Dio si serve del nostro buon esempio per agire nell'interiorità degli altri.
Ascoltiamo quest'affermazione di P. Stanislao che dimostra quanto era convinto dell'importanza di impegnare bene le nostre doti per fare qualcosa di utile per la società:
"Ogni uomo deve fare qualcosa di grande e di utile nella sua vita. Passare la propria vita senza fare nulla (per gli altri), non lo accetto" (1973.10.11; 0017F*007)
- E' vero che l'importante è credere in qualcuno e che tutte le religioni sono uguali?
Dio è unico, è uno solo benché Egli venga chiamato diversamente a secondo delle religioni. Ma non si può dire che tutte le religioni siano uguali perché è una falsità. Infatti, il buon senso della Filosofia ci insegna che due verità opposte non possono esistere allo stesso tempo, nello stesso luogo e nello stesso modo, perché una annulla l'altra. Questo si chiama il principio di non contraddizione. Applichiamolo qui al nostro caso della pluralità delle religioni. Siccome esiste un solo ed unico Dio, ci deve essere una sola tra tutte le religioni esistenti che possiede tutta la verità su Dio, perché tutte non la possono possedere allo stesso tempo, tanto più che una religione dice il contrario delle altre. Anche se tutte le religioni hanno tutte lo stesso scopo, farci conoscere Dio, solamente una è vera ed è la religione Cattolica.
1º Come possiamo essere sicuri che la Chiesa Cattolica stia sulla via giusta e che possiede la verità?
Con il nostro proprio ragionamento, possiamo arrivare ad affermare che Dio esiste e conoscere alcune delle sue qualità, ma non possiamo approfondire la sua identità, il mistero che lo circonda. Inoltre, possiamo dire che il senso del sacro esiste da sempre nell'uomo. Infatti, di fronte alle meraviglie della creazione, l'uomo ha sempre cercato di rendere un culto a Dio che veniva rappresentato sotto varie forme. Ciò ha dato luogo alle varie religioni alcune delle quali sono ancora esistenti oggi. Ma, il punto decisivo è che Dio stesso si è rivelato, si è fatto conoscere nella storia dell'uomo. La sua rivelazione è iniziata col popolo Ebreo, come vediamo nell'Antico Testamento; poi Dio si è rivelato pienamente, al mondo intero, con l'incarnazione del suo Divin Figlio Gesù. A sua volta, Gesù Cristo ha fondato la sua Chiesa su S. Pietro e gli Apostoli; attraverso i loro successori, ossia il Papa ed i vescovi, si arriva oggi a Benedetto XVI. Ecco perché la Chiesa Cattolica è l'unica vera religione.
2º Tante volte mi sembra quasi che i fedeli delle altre religioni sono più fervorosi, che pregano di più, come mai?
Sì, questo ce lo dobbiamo prendere in saccoccia, perché loro che stanno nell'errore sono osservanti, mentre noi, che stiamo nella verità, siamo tiepidi e non praticanti. In più nella S. Chiesa Cattolica, abbiamo l'immenso dono dell'Eucaristia stabilito da Cristo stesso nell'ultima cena e quindi il rito autentico in cui Dio si comunica a noi. Il nostro fervore lo dobbiamo stimolare imitando coloro che sono stati cristiani al cento per cento, ossia i santi.
P. Stanislao era convinto della fondatezza della religione cattolica. L'Eucaristia era per lui la prova più grande di quest'autenticità, perché essa testimonia la venuta di Cristo tra noi ed attraverso l'Eucaristia Dio stesso si comunica a noi. Egli diceva: "L'Eucaristia è il centro della Chiesa" (1975.03.16 ; 00017F*258).
- Cerco un modello di vita, lo posso trovare tra i santi giovani ?
I giovani cercano dei modelli di vita con cui identificarsi, credendo che così potranno avere successo nella vita. Il più grande successo in questa vita e in quella eterna è la santità. Ci sono tanti esempi di giovani santi che si sono distinti per le loro virtù, il loro buon comportamento e la loro vita di preghiera. Basta pensare per esempio a San Domenico Savio, a Santa Maria Goretti, al Beato Pier Giorgio Frassati di Torino, al Beato Alberto Marvelli di Rimini e ne potremmo nominare tanti altri.
1º Ma come un ragazzo come me può imitare un santo?
Non bisogna pensare che i santi erano diversi da noi, anche loro avevano i loro difetti, il loro carattere, le loro difficoltà… Ma la loro vittoria è stata quella di riuscire a dominare questi limiti ed aspetti negativi della loro persona, con l'aiuto di Dio conseguito tramite la preghiera ed i sacramenti ed inoltre con l'aiuto di una guida spirituale, e cioè con un sacerdote che si fa' nostro confidente e nostra guida.
In realtà, tutti noi dobbiamo diventare santi. Ce lo dice chiaramente il Concilio Vaticano II (costituzione dogmatica Lumen Gentium al nº 40): La santità è la vocazione comune di tutti noi, ognuno secondo il proprio stato di vita: sia come celibe, sposato, religioso o sacerdote. Non si nasce santo, ma a partire dal nostro battesimo, siamo tutti chiamati a diventare Santi. Dio dà a tutti le grazie necessarie per diventarlo.
2º Ha senso oggi pensare diventare santo o è una utopia?
Sì, che ha senso! Tanto Giovanni Paolo II come Benedetto XVI invitano i giovani a santificarsi e così seguendo quello che insegna il magistero della Chiesa, la santità non è così complicata né difficile, basta impegnarsi per attingere l'aiuto di Dio dai sacramenti che ci offre la Chiesa, approfondire la nostra vita di preghiera, vivere una vita morale e quindi in fin dei conti essere di esempio per gli altri e dare testimonianza del Vangelo con la nostra vita. In altre parole, basta fare di Gesù il nostro migliore amico e cercare di vivere e fare tutto insieme a Lui.
Riferendosi a come egli si era formato, P. Stanislao disse: "Leggete la vita dei santi. Mi sono formato leggendo la vita dei santi". (1970.12.19 ; 00013F*033).
- Come superare l'odio tra le persone e le famiglie?
Troppo spesso, l'odio prende il sopravvento e ne possiamo vedere le disastrose conseguenze ogni giorno, basta dare un'occhiata al telegiornale. Il primo passo per liberarci dell'odio e superare questa difficoltà, sta nel prendere coscienza di quanto sia disastroso. L'odio ha delle conseguenze disastrose, sia interiormente come esteriormente. Possiamo prendere esempio dall'uragano: quanto più l'uragano va avanti e prende ampiezza, tanto più distrugge tutto sul suo passaggio. L'odio in una persona ha lo stesso effetto: quanto più si serba ed aumenta l'odio dentro di sé tanto più esso fa del male a noi stessi ed agli altri. Le conseguenze morali dell'odio sono molto più disastrose di quelle materiali di un uragano.
In secondo luogo, occorre stare attenti a non lasciarci travolgere dall'odio, ma esercitarci al perdono e coltivare l'amore. E' un vero e proprio allenamento come quello fisico. All'inizio fanno un po' male i muscoli, ma più si progredisce e più ci si riesce ad alzare pesi pesanti. Come ci vogliono mezzi adatti per potere fare veri progressi al livello fisico, così ci vogliono i mezzi adatti per esercitarci nel perdono e per crescere nell'amore; questi mezzi sono i sacramenti che Dio ci offre. In realtà, più si è capaci di amare e più si è capaci di perdonare. Il segreto sta dunque nel coltivare l'autocontrollo ed attingere forza dai sacramenti per amare sempre di più.
1º Voglio perdonare, ma il risentimento rimane, cosa devo fare?
Spesso il perdonare può essere un grande sforzo, cioè dobbiamo mettere da parte il nostro orgoglio e riconoscere che anche noi sbagliamo e che tante volte anche noi possiamo fare arrabbiare gli altri. Come quando noi sbagliamo, cerchiamo di scusarci e di essere perdonati, così dobbiamo perdonare anche noi agli altri. Anche se le persone, non ci chiedono esplicitamente perdono, dobbiamo essere disponibili a perdonare di vero cuore e non serbare rancore. Come ce lo insegna il Catechismo, il sacramento della confessione è particolarmente indicato per ricavare dal perdono di Dio la forza di perdonare noi agli altri.
2º In certi casi la morale cristiana mi sembra una morale per i deboli? Delle volte non sarebbe meglio dare una buona lezione?
Dopo una forte lite, delle volte ci sentiamo offesi nella nostra dignità e ci sembra che l'unico modo per sentirci ripagati o per darci l'impressione di uscirne vittoriosi sia quello di alzare le maniche. Purtroppo, questa è una soluzione troppo facile, che non risolve nulla. Cadiamo in un grave peccato contro la carità e contro il secondo grande comandamento: "Amerai il prossimo tuo come te stesso", ci lasciamo così trascinare dall'odio e desideriamo il male per il nostro prossimo. Dimostriamo di essere forti non con i muscoli, ma con la testa, cioè quando siamo capaci di autocontrollo e con la fede, affidando a Dio il torto che abbiamo subito; e Dio, presto o tardi, ristabilisce la giustizia.
L'amore di P. Stanislao per Dio e per il prossimo era così intenso e sincero che egli poteva dire: "Non capisco come qualcuno possa fare del male al suo prossimo, quando è così facile fare del bene e la carità ci rende così felici. Veramente, è qualcosa che non capisco! Non conservo nessuna animosità verso coloro che mi hanno fatto del male. Lascio tutto nelle mani di Dio. Perdono tutto, prego per loro". (1971.12.18;00010F*287)